L’esempio del terremoto pesa sulla ripresa

Sbaglia di grosso chi spera che l’offensiva del coronavirus si esaurisca in tempi rapidi consentendo al Paese di tornare ad una normalità che sarebbe comunque diversa da quella del passato visti gli sconvolgimenti provocati dalla pandemia sulla società italiana ed occidentale. L’errore non consiste nell’immaginare che ad un certo punto il virus perda la sua spinta propulsiva. Perché la storia delle epidemie del passato insegna che anche le pesti più virulente o le febbri influenzali più persistenti persero slancio e vennero in qualche modo frenate dagli sviluppi della scienza medica.

L’errore dipende dalla mancata conoscenza della tendenza emersa negli ultimi cinquant’anni della storia nazionale. Quella di non mettere mai fine ad una emergenza, ma di aspettare sempre che ad archiviare l’emergenza del momento sia l’emergenza successiva.

Questa riflessione nasce dalla considerazione che nel mezzo dell’emergenza del coronavirus ci sono volute la visita del Presidente della Repubblica a L’Aquila in occasione dell’anniversario del terremoto del 2009 e la sua solenne promessa che la ricostruzione verrà comunque realizzata, per prendere atto che a distanza di undici anni e dopo che un secondo terremoto nel 2016 ha sconvolto le regioni dell’Italia centrale già disastrate dal sisma precedente, la ricostruzione è partita talmente poco e male dallo spingere Sergio Mattarella a rassicurare le popolazioni segnate dalle due tragedie che lo Stato manterrà integralmente i propri impegni.

Nessuno discute che l’emergenza del coronavirus possa far dimenticare agli italiani risparmiati a suo tempo dai terremoti l’emergenza del 2009 e del 2016. Ma come non incominciare a nutrire la preoccupazione che se nel corso di unici anni la ricostruzione post-sisma è sostanzialmente fallita, il ritorno alla normalità dopo l’emergenza del coronavirus potrà andare avanti senza esito per lo stesso periodo di tempo. In attesa, ovviamente, che una ennesima emergenza costringa a nascondere quelle del passato?

Per cancellare una preoccupazione del genere non basta affidarsi all’effetto salvifico dell’“intervento poderoso” annunciato da Giuseppe Conte. Bisogna anche incominciare a prendere atto che la ricostruzione del cratere del terremoto non si è completata e se l’interdizione da parte dello Stato alla pandemia del coronavirus non si è rivelato un capolavoro di efficienza, bisogna trarne la conseguenza che lo strumento costruito a suo tempo da Gustavo Zamberletti per le emergenze e che Guido Bertolaso aveva trasformato in un modello per il resto del mondo, non ha funzionato così come avrebbe dovuto. Non per incapacità umana, ma per imbecillità politica. Perché la sinistra al governo ha di fatto privato la Protezione civile della possibilità di operare in deroga dai lacci e lacciuoli burocratici, per fronteggiare le grandi emergenze. Con il risultato di far fallire la ricostruzione dopo il terremoto e dare vita a quella babele delle competenze e delle comunicazioni al Paese che ha reso difficile il contenimento del coronavirus.

La ragione che ha spinto la sinistra al governo a questo comportamento demenziale è fin troppo nota. Bisognava colpire Silvio Berlusconi attraverso il suo più stretto collaboratore: Bertolaso.

Se a gestire la ripresa saranno quelli che hanno azzoppato la Protezione civile per interesse di partito e di schieramento, possiamo tranquillamente prevedere che non ci sarà alcuna ripresa e che l’“intervento poderoso” servirà solo a garantire clientela e consensi all’attuale governo formato dagli irresponsabili del passato!

Aggiornato il 09 aprile 2020 alle ore 10:54