Vita e Libertà

lunedì 23 marzo 2020


Si può espellere la morte dalla vita? No, non si può, almeno fino a quando non sapremo viaggiare nel tempo, non si può.

Ma, se non possiamo espellere la morte dalla vita e ciononostante ci poniamo in maniera non razionale, ma radicale, questo obbiettivo impossibile in tutti i campi (dalla guida al lavoro, dal sesso all’alimentazione, dal fumo al vino, dal salutismo alle malattie e, oggi, al coronavirus), possiamo invece, rendendola schiava e triste, riuscire ad espellere la vita dalla vita.

Sto parlando della Libertà, che una devastante ondata psicologica di massa ci sta abituando a considerare come un bene secondario cui si può facilmente rinunciare, nell’ipotesi che un regime autoritario possa salvaguardare meglio la salute. Siamo, senza colpe, costretti agli arresti domiciliari preventivi nelle nostre case, non possiamo lavorare, prenderci un caffè al bar, fare una passeggiata in un parco o sulla spiaggia o vedere la morosa e siamo considerati in massa dei potenziali e criminali furbetti da tenere d’occhio, dai virtuosi, intelligenti e colti, che ci governano.

La stessa democrazia, con il Parlamento ormai usualmente chiuso e sprangato e il governo che sospende le garanzie costituzionali con semplici decreti amministrativi, è ormai messa in quarantena. Una quarantena che non viene applicata solo ai malati o ai portatori sani, di cui abbiamo rinunciato a conoscere la reale entità avendo evitato gli screening di massa o almeno a campionatura, ma a tutti indistintamente per provare ad evitare che si infettino.

Insomma, alcune grandi nazioni e in primis l’Italia, hanno chiuso tutto, con noi dentro, per evitare il contagio. Il presupposto adottato è sempre lo stesso, la portata della pandemia è tale che è questione di vita e di morte per tutti e su vastissima scala e dunque chiudete tutto e al diavolo libertà, democrazia ed economia. Ma è proprio così? Come facciamo ad ignorare che l’età media dei decessi si aggira sugli ottant’anni, che solo lo 0,8 per cento delle vittime non presentava altre gravi patologie (dati resi pubblici dall’istituto superiore di sanità) e che per questo in altri paesi simili al nostro i decessi non vengono tutti attribuiti solo e semplicemente al coronavirus e infine che, comunque, finora il numero mondiale di vittime è ancora molto al di sotto di quelle di certe annate di influenza come ad esempio la famosa asiatica?

Se, giustamente, ci spaventiamo della novità e della rapida progressione della malattia, perché i governanti si aspettano allora di raggiungere presto il picco e la decrescita dei casi, che in effetti sono in rapida diminuzione in quattro Paesi (Cina, Singapore, Corea del sud, Formosa) che però hanno applicato rimedi su vasta scala tra loro molto diversi? Perché non considerare seriamente l’ipotesi di uno spegnimento naturale della pandemia, una volta raggiunta la maggioranza della popolazione che, pur senza sintomi di malattia, sviluppa comunque gli anticorpi, secondo le valutazioni espresse da Boris Johnson, accoppiate però alle misure di prevenzione per tutti e soli gli anziani e malati (che davvero rischiano) decise dal governo israeliano? E ancora, se pure è certamente vero che, rallentando la diffusione del contagio, guadagniamo tempo per trovare un vaccino, tuttavia se, grazie anche all’estate, riusciamo ad arrestare temporaneamente la pandemia, prima dell’immunizzazione di comunità, chi ci garantisce allora sul non ritorno di una seconda ondata di contagio?

Intendiamoci, se l’operazione “arresti domiciliari” fosse senza costi, potremmo certo dire che forse staremmo esagerando in precauzioni, ma che nel dubbio è meglio prenderle tutte, ma non è così e non parlo solo (e scusate se è poco) di democrazia e libertà, no parlo proprio di vite umane. Di moltissime vittime prevedibili di una crisi economica catastrofica che stiamo preparando, chiudendo ogni attività, dagli alberghi, ai trasporti, dai negozi ai ristoranti, fino ad un numero sempre crescente di aziende, prive ormai di pezzi di ricambio importati (la globalizzazione non ha solo effetti positivi) e di clienti. Coloro che potrebbero perdere la vita per gli effetti indotti di una profonda e duratura crisi economica, potrebbero essere un numero incalcolabile.

Ma allora occorre chiedersi il perché di una risposta così estrema che a me sembra (dico sembra, non credo affatto di possedere una verità rivelata) presa sull’onda di una tempesta emotiva che ha reso difficile un razionale confronto. Forse la risposta più giusta è quella più classica, il panico, ma un panico particolare, un panico politico che ha portato delle classi dirigenti molto improvvisate, a temere la sanzione di cittadini che chiedono decisioni sbrigative, facili e soprattutto immediate, per un problema che richiama antiche paure sedimentate nella memoria dei popoli accoppiate al nuovo catastrofismo millenarista.

L’ondata è tale che anche politici colti e di carattere, come Boris Johnson non hanno potuto resistere e sono, almeno parzialmente, dovuti tornare sulle proprie decisioni, accusati della nuova e infamante colpa valida per tutto: il negazionismo. Vorrei essere chiaro, non sono affatto certo che i “chiudiamo tutto” abbiano completamente torto, non lo so e non lo saprò con sufficiente certezza fino a quando la scienza (che però ha i suoi tempi, non comprimibili) non avrà finito di studiare il nuovo virus, non posso però non notare gli errori metodologici che si stanno facendo, inquinando il dibattito con l’emotività, come se la partita fosse davvero tra sani decisionisti che hanno a cuore “il bene del popolo” e corrotti sofisti che se ne fregano, tra gli uomini del fare e quelli delle chiacchiere.

È diventato infatti molto difficile, a uomini politici o intellettuali (e perfino agli esperti), esprimere delle perplessità che non marcino nella direzione della corrente, che coltivino il dubbio, che si ostinino ad aspettare delle risposte scientifiche conclusive (perché provate) senza venire linciati mediaticamente e, in qualche caso, perfino denunciati. Abbiamo applicato il Principio di Precauzione in maniera completamente sbilanciata, prendendo in esame le più catastrofiche ipotesi pandemiche e le più rosee e morfinizzanti rassicurazioni economiche. Abbiamo sentito troppe volte dire che si devono seguire le regole, senza sentire quasi mai aggiungere il perché queste regole fossero giuste, come a voler abituare la gente a un’obbedienza incondizionata, a un riflesso automatico da assoggettati, privi di libero arbitrio e di diritti inalienabili almeno su se stessi. Non si è creduto mai alla possibilità che la gente, se bene informata, si autoregolamentasse da sé, limitando spontaneamente i propri movimenti a quelli essenziali, senza perdere il lavoro e senza costringere due o trecentomila agenti delle forze dell’ordine a permanere per strada a controllare i pochi passanti. Non so cosa succederà, adesso che i decreti sono stati reiterati e la gente realizzerà che la parentesi di sospensione si allunga, e poi quando arriveranno i primi licenziamenti e i primi fallimenti, ma, per il momento, un consenso c’è, perché alla gente non sempre dispiace sentire ordini, sentirsi governata, abbandonarsi con conformismo all’autorità, indipendentemente dalla sua capacità e legittimità e questo soprattutto quando ha paura e l’obbedienza viene presentata come la prima delle virtù. Mi viene in mente un manifesto della mia prima giovinezza, all’epoca del partito liberale di Giovanni Malagodi, affisso per tutte le vie di Milano che, giocando sulle parole, diceva così: “La servitù è facile, ma la soffri, la libertà è difficile, Ma-la-godi”.

Ma è solo ormai un vecchio ricordo, di un’epoca di libertà che sta forse tramontando. Non possiamo ancora conoscere le definitive conclusioni scientifiche (oggi posso solo esprimere una preferenza per il metodo israeliano, che credo sia il miglior bilanciamento tra libertà e salvaguardia) e allora potrebbe perfino darsi che il governo abbia ragione, che i miei dubbi non abbiano motivo di esistere, che il rimedio, oltre che temporaneo, sia necessario e decisivo, anzi davvero me lo auguro, perché altrimenti la perdita della libertà sarebbe, oltre che totalmente ingiustificata, insopportabile.

 


di Giuseppe Basini