Renzi contro il Governo o contro Bonafede?

martedì 11 febbraio 2020


A sentire lui (Matteo Renzi), il vero e unico nemico sono i grillini. Bisogna credergli, anche alla luce dei diversi scontri nel passato culminati, ora, con il no renziano alla prescrizione. In realtà si tratta di un no diretto esplicitamente al ministro Alfonso Bonafede che gestisce un ministero chiave, non nascondendo ciò che lui stesso intende come amministrazione della giustizia (della grazia, lasciamo perdere): gestione al contrario, in nome e per conto del giustizialismo.

Non pensiamo che al Renzi, che si proclama garantista, promotore e sostenitore del Conte Bis, sia sfuggita questa specializzazione bonafediana fin da allora, non fosse altro perché sapeva e sa che la vera specialità grillina consisteva da sempre, appunto, in una concezione della politica come esercizio di una lotta senza quartiere alla Casta, alle sue malefatte intese come male in sé stesso, come vergogna imperdonabile per corruzione, concussione ecc..

E la scelta caduta su Bonafede – un illustre sconosciuto per gli altri ma non per i capi in testa come Beppe Grillo e soprattutto per il cervello elettronico politico tuttofare e computerizzato Rousseau – significava essenzialmente l’approdo toto corde del Movimento in un ambito ministeriale dove mettere in mostra i muscoli di una gestione funzionale, appunto, all’unica vera vocazione di quel Movimento. Ma, come sappiamo, alla sua scissione dal Partito Democratico, Renzi doveva comunque dare seguito ad una fase più tranquilla, tanto più che nell’Esecutivo erano stati messi due ministri di Italia Viva. Come era ed è ovvio, l’agire renziano si è qualificato con una serie di mosse per dir così a zig-zag, stop-and-go, facilitate, del resto, da una posizione al tempo stesso partecipante di una maggioranza ma con critiche e punture di spillo alla stessa, a seconda delle situazioni e dei personaggi presi di mira, fra cui, spesso e volentieri, lo stesso Premier.

E ora (inevitabilmente) nei confronti di Bonafede, inteso dai renziani come l’attore principale di quel giustizialismo demagogico che sul palcoscenico politico è da sempre la trama e il contenuto principale alla ricerca di applausi da parte di un pubblico che, tuttavia, non sembra più aderire entusiasticamente a simili rappresentazioni.

La prescrizione difesa da Renzi e che, secondo certi leader esterni al Movimento 5 Stelle non esisterebbe in tutta Europa, è invece una norma praticata nei diversi Paesi differendo nella forma rispetto all’ordinamento nostrano ma non nella sostanza, soprattutto in funzione della durata dei processi che, in Italia, non è una specialità della nostra giustizia anche se vengono tirati in ballo e accusati gli avvocati la cui professione è, appunto, quella della difesa dei propri assistiti rispetto ad una giustizia italiana non priva di potere se è vero, come è vero, che abbiamo assistito negli alla eliminazione giudiziaria di tre Presidenti del Consiglio, in attesa del quarto.

Renzi si trova così di fronte ad un dilemma frequente nella politica, in special modo italiana, che per l’ex Premier e per la sua collocazione di maggioranza impone una decisione al di là degli aggiustamenti contiani e di un Nicola Zingaretti sempre più rivolto al versante dei grillini da cui è convinto di “rubare” dei voti alla luce della crisi che attraversano. Il fatto che la prescrizione sia diventata una discriminante per due politiche in cui quella di Renzi vorrebbe ispirarsi ad un garantismo senza se e senza ma, lo pone e lo porrà nella classica situazione che i nostri progenitori latini definivano l’hic Rhodus hic salta dalla quale il renzismo, nel suo complesso, vorrebbe uscirne (per ora) evitando una crisi dell’Esecutivo di Conte ma con la sfiducia al ministro Bonafede e alla sua sostituzione.

Ma, anche in questo caso, la massima in latinorum non cessa il suo richiamo. E il traballante Conte lo sa.


di Paolo Pillitteri