Craxi, monetine di ieri e di oggi

Sembra un fatto locale qualsiasi discussione, anche in un Consiglio comunale importante come quello di Milano, ma il caso in questo giorni dibattuto a Palazzo Marino non è affatto secondario. Perché politico, innanzitutto. Si tratta infatti della intitolazione di una via (o di una targa) a Bettino Craxi che proprio in quella sede aveva iniziato una carriera elettiva, prima da consigliere, poi da assessore e infine da parlamentare.

Del resto, la milanesità di Craxi era una delle sue caratteristiche di fondo, una sorta di sigla impressa su un fare politica in cui il verbo assumeva un significato ed una valenza non solo rilevanti ma rivelatori di quella tipica espressione meneghina del non stare con le mani in mano ma di fare, qualità che traferì nel Governo diventando il primo Presidente del Consiglio milanese.

Non era la prima volta che un’iniziativa del genere veniva assunta poiché già Letizia Moratti, sindaca di una giunta di centrodestra, ne aveva deciso positivamente la scelta viaria ma, fra un intoppo burocratico e le ostilità dei postcomunisti (con qualche leghista), la scelta non fu portata a termine per le elezioni amministrative incombenti.

In questa settimana, lunedì scorso nell’aula del Consiglio comunale sono riapparse, sia pure sotto forma politico-amministrative, le monetine, scagliate contro il leader socialista quel giorno davanti l’Hotel Raphael dopo un comizio di Achille Occhetto nella contigua Piazza Navona, e si sono trasferite da Roma a Milano, ma le mani artefici di una simile, vergognosa iniziativa sono sempre le stesse: dei postcomunisti.

C’è da supporre che questo “no” sia una sorta di sfogo vendicativo dei Ds qualche giorno dopo il ricordo del ventennale della morte di Bettino Craxi durante il quale non soltanto Stefania e Bobo si sono fortemente impegnati a rivendicare per il padre il ruolo e la figura di uno dei più significativi leader politici del dopoguerra, ma la maggior parte dei mass media ne ha illustrato la vicenda umana e politica rifuggendo quasi sempre dai toni giustizialisti e insistendo sulle qualità di un protagonista che a livello nazionale e internazionale (l’Italia nel G7, ma non solo) rimane comunque nella nostra storia.

In un clima abbastanza cambiato (vent’anni dopo!) è stato indetto per la fine del mese, da un gruppo di giovani del Pd milanese, un convegno riguardante Bettino Craxi; un progetto ambizioso e serio, almeno nelle intenzioni, mirato a collocare nella giusta dimensione una “figura la cui vicenda politica e l’impatto che ha avuto nella storia della nostra città e del nostro Paese e della sinistra italiana, non può essere ridotta alle sole vicende giudiziarie... Craxi è stato molto di più, nel bene e nel male”. Pareva una svolta culturale vera. Invece no.

È scoppiato l’inferno con la ribellione del partito sia al convegno che alla via o alla targa, i giovani sono stati severamente redarguiti e richiamati all’ordine dai vecchi e dal partito bocciando non soltanto la proposta della via ma lasciando capire che il convegno dovrà essere rinviato, sospeso, cioè annullato. Molti vecchi diessini non hanno perdonato e non perdonano il peccato mortale (per loro) della politica di Bettino: l’anticomunismo e l’orgogliosa autonomia, a un tempo nazionale, europea, occidentale.

Per fortuna prosegue la rilettura obiettiva e corretta della politica craxiana, anche di governo, che ha informato di sé il decennio sfolgorante degli anni Ottanta, del prestigio a livello internazionale di una nazione, del made in Italy trionfante all over del world.

Qualcuno la chiama riabilitazione che al solo nominarla i Ds, con la sinistra giustizialista, vengono colti da veri e propri malori politici, simboli di una malattia incurabile se non apponendo un immarcescibile disprezzo rifiutandone e allontanandone persino il nome. La politica di Bettino Craxi faceva loro paura da vivo. E ora da morto.

A proposito di riabilitazione, Bettino Craxi - anche negli ultimi mesi della sua vita in quello che il film di Gianni Amelio ha ben raffigurato come un esilio, come una solitudine temperata dall’orgoglio, come un lontananza soprattutto dalla sua città - scriveva e ammoniva: “Non voglio essere riabilitato dai miei carnefici!”.

Aggiornato il 07 febbraio 2020 alle ore 09:55