Meloni e Berlusconi: convergenze parallele

Intanto si può dire che la sparizione di Forza Italia era un giudizio esagerato.

Intendiamoci, in questi ultimi anni è sembrato a non pochi osservatori che una sorta di indifferenza del Cavaliere per la sua creatura sconfinasse, a volte, in una specie di cupio dissolvi temperato, a volte, dall’indicazione di un Matteo Salvini come l’unico leader del centrodestra; indirizzo, peraltro, seguito spesso e volentieri dalle sue televisioni che hanno mostrato una spiccata simpatia (anche loro!) leghista, forse in nome di un “teniamo famiglia” constatato lo stato preagonico del partito azzurro. Invece…

Invece quest’ultima competizione elettorale, pur evidenziando nei due risultati una sorta di divisione politica fra nord e sud del Paese, ha assistito alla riapparizione di Forza Italia che non ha nulla di miracoloso sia in virtù del risultato calabrese, sia grazie ad un più convinto impegno berlusconiano.

Nulla di eccezionale, si capisce, ma proprio negli inviti prima che nelle considerazioni dopo il voto, l’insistere nel dare consensi al “centro” del centrodestra significava non soltanto una quasi ovvia necessità di sopravvivenza per FI ma, a risultati ottenuti con una Jole Santelli berlusconiana doc, un impegno ulteriore, una promessa solenne per rafforzare un’area che l’impeto salviniano aveva investito col carro armato suo tipico che, tra l’altro, non ha funzionato in un’Emilia-Romagna pragmatica e laboriosa. E benestante.

Il potenziamento di quest’area è del resto posto in netta evidenza da Giorgia Meloni, alleata bensì di Salvini, ma con una collocazione che negli anni si è più spostata verso una moderazione “centrista” con una professionalità politica trasmessa ai suoi collaboratori che, anche nei talk-show successivi al voto, vanno riaffermando tale tendenza non solo e non tanto rispondendo diplomaticamente agli “estremismicitofonanti, ma dando ancora maggior contenuto alla politica meloniana.

Si tratta, del resto, di una presa d’atto (che il nostro giornale indica da sempre) di una obbligatoria direzione di convergenza verso quel centro che, se lasciato in disparte in favore del termine qualificativo “destra”, sottopone quest’ultimo ad una nudità che lo espone a pericolo maggiori, ad una ridotta potenzialità, infine ai rischi di insuccessi elettorali, al di là di ricorsi invasivi a tweet, social, Facebook, Instagram, ecc..

E se il successo, sia pure parziale, di una Forza Italia in Calabria mostra contestualmente vittorie e disagi, ripresa ma difficoltà di un non breve percorso in salita, il contraltare del partito della Meloni indica che la strada da percorrere è questa e solo questa e che, un centrodestra senza il centro non può che somigliare alla situazione, a dir poco surreale, dell’attuale esecutivo con un Partito Democratico senza un altro partito dissoltosi dopo le urla contro la casta, gli insulti contro i governi, tutti, degli altri, gli improperi contro Parlamento e parlamentari.

Stiamo dunque assistendo al ritorno delle antiche convergenze parallele care ad un moroteismo e andreottismo d’antan, calate tuttavia in un contesto assai diverso ma pur sempre bisognoso di simili percorsi corrispondenti, tanto più indispensabili quanto più interni ad un’alleanza che, prendendo a prestito e parafrasando uno spot che va per la maggiore segnala che nessun uomo (partito) vive (vince) solo, in un’alleanza.

Aggiornato il 29 gennaio 2020 alle ore 13:42