Elezioni M5S: le ragioni di una sconfitta

Non per infierire sugli sconfitti, ma la sonora batosta elettorale dei pentastellati merita qualche riflessione di carattere generale. E un certo parallelismo con quell’antico “Fronte dell’Uomo Qualunque” del quale, a cominciare dalla titolazione, il Movimento 5 Stelle ha mutuato non poche somiglianze per dir così ideali. A maggior ragione le autoriflessioni di oggi sarebbero più che necessarie. Le quali, inoltre, sono suggerite dalle risposte date finora dai perdenti che si stanno rifugiando in una coacervo di scuse banali che, tra l’altro, potrebbero costare loro altri guai.

Il Movimento di Beppe Grillo, come quello di Guglielmo Giannini di un tempo, non ha mai voluto e tantomeno perseguito una qualsiasi ideologia che non fosse quella ispirata e dedita all’antipolitica con minacce relative ad un Parlamento da aprire come una scatoletta di tonno e, va da sé, contro i partiti, più o meno tutti, responsabili non soltanto delle malefatte del malgoverno passato, presente e futuro, ma del degrado italico e della imminente e quasi certa decomposizione politico-sociale del Paese, salvato (of course) dalla presenza e dalla forza invincibile del M5S.

In realtà, l’offensiva grillina era funzionale ad un’opposizione tout court avanzata sull’onda del disprezzo per i partiti anche sventolando un tipo di democrazia sui generis, in nome di quell’“uno vale uno” che, a ben vedere, costituisce dall’origine una negazione implicita del metodo democratico-parlamentare in nome e per conto di un individualismo di facciata basato, operativamente e non solo, sullo schema del mitico Rousseau. E ovviamente sullo schema finto ideologico della “politica del no”, spacciata per insegna dell’onestà e della pulizia etica.

La scelta di governo, prima con la Lega e poi con il Partito Democratico, ha collocato i grillini in una posizione opposta alle loro stesse origini e finalità, ma ciò sarebbe potuto rientrare in una sorta di dialettica politica se il loro nuovo operato si fosse indirizzato verso un orizzonte che della politica, di governo e parlamentare, non poteva non fare guida e nutrimento.

Ciò non è accaduto e non accade sia a causa di una sorta di bullismo parolaio e mediatico sviluppato, appunto, per l’assenza di una base ideologica degna di questo nome, sia per un’inesperienza delle faccende governative di cui la vicenda legata a Luigi Di Maio è emblematica, comprese le sue dimissioni da incarichi di partito a pochi giorni dalle elezioni.

Elezioni, peraltro, in cui il M5S ha teorizzato una corsa solitaria frenata e interrotta in Emilia-Romagna da quelle “Sardine” che hanno occupato la stessa piazza nella quale i grillini erano nati sventolando l’insegna del nuovissimo che avanza. E che, più prima che poi, spazzerà via l’anticaglia della Polis.

Se poi guardiamo al loro ruolo nel “Conte bis”, ciò che ne segnala le caratteristiche, al di là delle troppo spesso evidenti incapacità, è una sorta di marchio giustizialista anche e soprattutto da parte del ministro Alfonso Bonafede il cui comportamento, a proposito di prescrizione, si rifugia nell’eterna proposta di una riforma globale della giustizia suscitando le più gravi preoccupazioni del corpo degli avvocati italiani, tanto più evidenti dopo le frasi dello stesso ministro a proposito di innocenti e di carceri evocando uno scenario dove il messaggio delle manette à gogo sta preoccupando il Paese, e non solo gli avvocati.

In effetti, il giustizialismo è la più visibile ragion d’essere grillina, una sub-ideologia il cui perseguimento annulla qualsiasi discussione e, al tempo stesso, fa da copertura alla “politica del no” (No-Tav, No-Ilva) da sostituire con parchi e giardini, no industrializzazione ecc., con risultati negativi confermati, come era prevedibile ma non questa proporzioni, dall’esito delle elezioni.

La guerra senza quartiere ai partiti ha indebolito ulteriormente una politica sviluppata in eccessi mediatici, in trovate da “Striscia la notizia” (il pulsante salviniano schiacciato) e cresciuta, per quanto riguarda il M5S, in una sorta di deserto delle idee da cui il qualunquismo di Giannini era meno contagiato rispetto all’“uno vale uno” di oggi.

E la politica, trattata a malo modo, si è vendicata.

Aggiornato il 29 gennaio 2020 alle ore 10:04