Un fantasma si aggira in Parlamento

Come ampiamente previsto anche dal suo ex capo politico, quel Luigi Di Maio fuggito a gambe levate dalle sue evidenti responsabilità, il Movimento 5 Stelle si trova ad un passo dalla dissoluzione elettorale.

Avendo raggranellato consensi da prefisso telefonico in Emilia-Romagna e Calabria, non sembra che questa forza politica improvvisata, priva di alcun reale radicamento sul territorio, possa in alcun modo risalire la china che la sta conducendo verso una rapidissima estinzione. In questo senso proprio la débâcle rimediata in una delle più tormentate regioni meridionali, passando da oltre il 43 per cento delle recenti Politiche all’attuale, striminzito 7 per cento, colpisce in modo particolare.

Infatti, malgrado siano 68.383 gli elettori calabresi che beneficiano del reddito di cittadinanza, solo 39.614 hanno impresso la loro preferenza sul simbolo a 5 Stelle. Ciò rappresenta, se ce ne fosse ancora bisogno, l’ennesima, plastica dimostrazione di una fallimento a 360 gradi. Un fallimento politico e programmatico, le cui radici affondano nella totale mancanza di visione di una eterogenea compagine di ragazzotti formatisi politicamente alla scuola di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Gente, tanto per fare un esempio, la quale ignora completamente il concetto elementare della cosiddetta traslazione d’imposta. Tant’è che, una volta al Governo, hanno fatto fuoco e fiamme per inasprire il prelievo fiscale su banche e assicurazioni, con il risultato di costringere queste ultime a spalmarne i costi sulla clientela, aumentando canoni e tariffe.

D’altro canto, quando si manda al potere una schiatta di somari che pensa di abbattere del 40 per cento il nostro colossale debito pubblico tagliando qualche poltrona del palazzo, questo è il minimo che ci possa accadere.

Ora però, preso atto che la componente di gran lunga più numerosa dell’attuale maggioranza è ridotta nel Paese reale ad un mero simulacro di se stessa, avendo perso in modo definitivo gran parte del consenso di cui godeva solo meno di due anni orsono, si apre un problema piuttosto rilevante per i suoi alleati di Governo, a cominciare al Partito Democratico. Anche in considerazione del fatto che questo medesimo simulacro di una forza politica che non c’è ha continuato fino ad oggi a dettare la linea, imponendo tutta una serie di misure scellerate, a partire dall’obbrobrio del “fine processo mai”.

Ebbene, il fin qui irresoluto Nicola Zingaretti sarà ancora disposto ad avallare i deliri programmatici dei grillini o, sulla base dei mutati equilibri politici nella società, cambierà radicalmente atteggiamento, così come la logica delle cose porterebbe a pensare? Lo sapremo solo vivendo.

Aggiornato il 27 gennaio 2020 alle ore 12:11