L’Italia dell’ipocrisia

venerdì 24 gennaio 2020


Sbaglia la senatrice Liliana Segre a pensare che la cittadinanza onoraria che il Comune di Verona ha pensato di concederle sia incompatibile con l’intenzione dello stesso Consiglio comunale di intitolare una strada a Giorgio Almirante.

Se prevalesse la volontà di analizzare in maniera non faziosa la vita e le opere del compianto leader missino, emergerebbe con chiarezza quanto quest’ultimo abbia contribuito alla pacificazione nazionale, portando una destra reduce dall’evento bellico, orgogliosamente fascista e piena di risentimento a sedere nelle istituzioni impedendo che si imboccassero strade perigliose e che la guerra civile si trascinasse sanguinosamente dopo la fine della guerra.  Basterebbe questo a riconoscere a Giorgio Almirante un ruolo importante nella democrazia italiana, ruolo tra l’altro riconosciutogli da più parti e finanche da Enrico Berlinguer.

Se fossimo un popolo onesto intellettualmente dovremmo riconoscere ad Almirante ciò che è di Almirante, ammettendo che il vero vulnus della nostra tenuta democratica sono stati negli anni coloro che l’hanno difesa con pelosa ipocrisia facendone in realtà scempio.

Ci riferiamo a coloro che politicamente e giudiziariamente guidarono la controrivoluzione manettara la quale nascondeva – sotto le mentite spoglie di una sedicente moralizzazione – il tentativo di celebrare un ludo elettorale (quello del ‘94) monco di qualsiasi forza politica in grado di contendere il potere all’allora Pds. Ci riferiamo anche a quel perverso sistema in base al quale, quando negli ultimi trent’anni la destra si è azzardata a vincere le elezioni, è stata messa nell’angolo impantanata nella palude dello spread, delle indagini ad orologeria, delle congiure internazionali e del circo mediatico con il coltello tra i denti pronto ad impallinare giorno per giorno una coalizione considerata quasi illegittimamente al potere.

Oggi è Matteo Salvini il predestinato ad assaggiare i tacchetti sugli stinchi come ieri lo era Silvio Berlusconi. Ma tanto loro sono i cattivi, i seminatori di odio, gli indifendibili. Se poi qualcuno augura la morte a Siniša Mihajlović perché filo-leghista o il presidente della Regione Emilia-Romagna minaccia di tagliare i fondi ai comuni i cui amministratori appoggiano il centrodestra, beh, si tratta di legittima difesa della democrazia, perbacco.

L’altra metà del cielo politico si è consumata invece da sola vivendo di rendita, osannata dall’establishment e quindi per nulla stimolata ad alzare l’asticella. E questa frustrazione ha generato il niente ottimamente incarnato da fenomeni incredibilmente vacui come i Cinque Stelle (in disfacimento indipendentemente da Luigi Di Maio) e le cosiddette “Sardine”, i cui capobranco dimostrano ogni giorno di essere poco più di un bluff destinato ad implodere in un batter di ciglia.

Il nostro dannato Paese, o quantomeno una parte di esso, non crescerà mai perché non riesce ad evolversi: basta un “bella ciao”, un antifascismo in assenza di fascismo, una spruzzatina di diritti civili e di migrantismo e il gioco è fatto. Poi però non lamentiamoci se, nei consessi internazionali, nelle foto ufficiali, i nostri Capi di Governo finiscono in seconda fila. Gli alleati ci guardano e, indipendentemente dal fatto che la nostra debolezza faccia loro comodo, ci giudicano.


di Vito Massimano