Sbaglia la senatrice Liliana Segre a pensare che la cittadinanza onoraria che il Comune di Verona ha pensato di concederle sia incompatibile con l’intenzione dello stesso Consiglio comunale di intitolare una strada a Giorgio Almirante.

Se prevalesse la volontà di analizzare in maniera non faziosa la vita e le opere del compianto leader missino, emergerebbe con chiarezza quanto quest’ultimo abbia contribuito alla pacificazione nazionale, portando una destra reduce dall’evento bellico, orgogliosamente fascista e piena di risentimento a sedere nelle istituzioni impedendo che si imboccassero strade perigliose e che la guerra civile si trascinasse sanguinosamente dopo la fine della guerra.  Basterebbe questo a riconoscere a Giorgio Almirante un ruolo importante nella democrazia italiana, ruolo tra l’altro riconosciutogli da più parti e finanche da Enrico Berlinguer.

Se fossimo un popolo onesto intellettualmente dovremmo riconoscere ad Almirante ciò che è di Almirante, ammettendo che il vero vulnus della nostra tenuta democratica sono stati negli anni coloro che l’hanno difesa con pelosa ipocrisia facendone in realtà scempio.

Ci riferiamo a coloro che politicamente e giudiziariamente guidarono la controrivoluzione manettara la quale nascondeva – sotto le mentite spoglie di una sedicente moralizzazione – il tentativo di celebrare un ludo elettorale (quello del ‘94) monco di qualsiasi forza politica in grado di contendere il potere all’allora Pds. Ci riferiamo anche a quel perverso sistema in base al quale, quando negli ultimi trent’anni la destra si è azzardata a vincere le elezioni, è stata messa nell’angolo impantanata nella palude dello spread, delle indagini ad orologeria, delle congiure internazionali e del circo mediatico con il coltello tra i denti pronto ad impallinare giorno per giorno una coalizione considerata quasi illegittimamente al potere.

Oggi è Matteo Salvini il predestinato ad assaggiare i tacchetti sugli stinchi come ieri lo era Silvio Berlusconi. Ma tanto loro sono i cattivi, i seminatori di odio, gli indifendibili. Se poi qualcuno augura la morte a Siniša Mihajlović perché filo-leghista o il presidente della Regione Emilia-Romagna minaccia di tagliare i fondi ai comuni i cui amministratori appoggiano il centrodestra, beh, si tratta di legittima difesa della democrazia, perbacco.

L’altra metà del cielo politico si è consumata invece da sola vivendo di rendita, osannata dall’establishment e quindi per nulla stimolata ad alzare l’asticella. E questa frustrazione ha generato il niente ottimamente incarnato da fenomeni incredibilmente vacui come i Cinque Stelle (in disfacimento indipendentemente da Luigi Di Maio) e le cosiddette “Sardine”, i cui capobranco dimostrano ogni giorno di essere poco più di un bluff destinato ad implodere in un batter di ciglia.

Il nostro dannato Paese, o quantomeno una parte di esso, non crescerà mai perché non riesce ad evolversi: basta un “bella ciao”, un antifascismo in assenza di fascismo, una spruzzatina di diritti civili e di migrantismo e il gioco è fatto. Poi però non lamentiamoci se, nei consessi internazionali, nelle foto ufficiali, i nostri Capi di Governo finiscono in seconda fila. Gli alleati ci guardano e, indipendentemente dal fatto che la nostra debolezza faccia loro comodo, ci giudicano.

Aggiornato il 24 gennaio 2020 alle ore 11:59