M5S ai titoli di coda

Una volta si diceva: ponti d’oro al nemico che fugge (più velocemente se ne va, meglio è, insomma).

Io non so se, con Luigi Di Maio, prenderanno la strada di casa anche i suoi amici – il mio interesse per la dipartita di Alfonso Bonafede è quasi spasmodico – ma so per certo che, nel futuro, il Movimento non sarà più lo stesso. Da domenica sera, poi, potrebbe non essere più, se le cose vanno come previsto e come mi auguro.

Su quanto accadrà dopo, invece, sono pieno di dubbi. Una cosa nuova con Pd nuovo? Una rifondazione con altri? L’inesorabile estinzione in conformità alla legge dell’evoluzione, che cancella le specie più deboli?

Di certo c’è che la stagione di costoro, così come li abbiamo conosciuti e subiti, è finita. Non assistiamo ad una flessione, ma ad una inarrestabile erosione di un consenso non radicato nell’elettorato. Veloci nel crescere, rapidi nel perire.

È bastato metterli alla prova del Governo e, subito, ci hanno mostrato la loro debolezza, l’impreparazione, la mancanza di capacità. Dai congiuntivi al tunnel del Brennero, fino alle trovate in politica estera e all’immondizia di Roma la lista è lunga. Un disastro, questo, non contrastato dalla cabina di regia della piattaforma controllata da Casaleggio.

D’altra parte, è così: quando arrivi al 32,x per cento in poco tempo predicando vendetta e promettendo fandonie, non raccogli adesioni convinte, ma voti fluttuanti. Come li hai presi, li perdi.

Vale per tutti. Il Movimento non è la Dc o il Pci; non rappresenta nulla e non ha storia; è liquido come il modello di democrazia che voleva imporci.

Bene. Anche questa è andata. Accompagniamoli gentilmente all’uscita, indicando loro la via di casa. Non sentiremo la loro mancanza.

L’ultimo, per favore, chiuda la porta.

Aggiornato il 23 gennaio 2020 alle ore 10:40