Matteo Salvini, Antigone e la patria italiana

venerdì 20 dicembre 2019


Antigone, l’eroina dell’omonima tragedia sofoclea, vuole dare sepoltura al fratello Polinice infrangendo la legge del novello re Creonte che impediva di seppellire l’avversario Polinice nella cerchia della polis. Da un lato la legge del potere più o meno legittimamente costituito, dall’altra la legge non scritta della morale: una tensione che da duemilaecinquecento anni accompagna la civiltà occidentale e che mostra la profondità e l’attualità nei secoli del pensiero greco. Oggi la scena politico-giudiziaria italiana ci offre una variante di questa tragedia, una versione più complicata ma non meno istruttiva.

Nello scorso luglio, il ministro dell’Interno Matteo Salvini fa rispettare una legge dello Stato e impedisce lo sbarco di un centinaio di migranti irregolari sul suolo nazionale. La legge che egli applica è scritta ma al tempo stesso esprime anche un sentimento radicato e diffuso nel popolo italiano, che vede in quegli sbarchi organizzati dalle ONG una forma di violenza e di imposizione ideologica, e che dunque ad essi si oppone non per razzismo ma per giustizia. Secondo un’altra legge, incardinata nel codice penale, quel divieto di sbarco si configurerebbe invece come sequestro di persona. In condizioni di normalità e di moralità politica, il conflitto verrebbe affrontato e risolto sul piano della civiltà giuridica, ma poiché la situazione italiana soffre purtroppo di un’anomalia latente che esplode di tanto in tanto a seconda degli interessi della sinistra, ora quel conflitto viene invece usato dal governo come arma impropria (e soprattutto vile) per colpire l’ex-ministro dell’Interno, il quale aveva deciso di difendere, da servitore dello Stato, la volontà della maggioranza del popolo italiano pur sapendo di poter incorrere nell’accusa di cui sopra.

Qui sta l’analogia sotterranea ma limpida con Antigone: Salvini sfida una legge codificata in nome non solo di un’altra legge altrettanto fissata (DL 53 o decreto sicurezza bis, ratificato dal Presidente della Repubblica), ma anche e soprattutto in nome di una legge non scritta e però non meno cogente. L’amore fraterno di Antigone è in Salvini amore per la patria; la moralità individuale diventa etica pubblica; la coscienza morale diventa coscienza storica.

L’accusa a Salvini di sequestro di persona per aver impedito sbarchi clandestini sul territorio nazionale sarà anche conforme al codice penale, ma è certamente irricevibile per quella legge non scritta che si chiama coscienza della patria e che gli italiani rispettano non meno di quanto rispettino le leggi scritte e le norme codificate. 

Se l’imputazione per la quale Salvini è ora indagato dovesse tradursi in una condanna, il leader della Lega sarà il primo condannato per patriottismo, per un atto, simbolico ma non perciò meno efficace, a difesa dell’Italia e del suo popolo. Un paradosso, un’autentica violenza ideologica. Alla fragilità del capo d’accusa si affianca infatti il senso di ingiustizia che gli italiani non assoggettati alla dittatura della sinistra provano per un procedimento politico-culturale degno del Processo di Kafka o, più volgarmente, di processi politici a cui non assistevamo dalla caduta dei regimi comunisti. Qui un atto dovuto della magistratura viene usato strumentalmente da una politica che disonora l’Italia.

Che l’azione della magistratura nei confronti dell’ex-ministro dell’Interno sia una conseguenza dell’obbligatorietà dell’azione penale è ovvio, ma che le implicazioni e le complicazioni esterne a quell’azione siano di carattere politico e di finalità strumentale è altrettanto evidente. Per personaggi di retropalco politico incredibilmente assurti oggi a premier o ministro degli Esteri, una possibile condanna di Salvini è un’occasione da non perdere, che dev’essere capitalizzata: la possibilità di mettere fuori gioco il leader del centrodestra vale qualsiasi infamia, qualsiasi menzogna, qualsiasi trama.

Ma se sono riusciti a forgiare la pentola, questi e gli altri figuri che si sono impadroniti del governo con una manovra la cui legittimità costituzionale è discutibile (Giorgia Meloni ne aveva denunciato l’incostituzionalità nel corso della manifestazione da lei organizzata il giorno dell’insediamento del governo), ma senz’altro è illegittima per il sentimento di giustizia del popolo italiano, non riusciranno a fare il coperchio. Comunque vada il procedimento penale, Matteo Salvini riceverà gli onori da parte di questo popolo, la cui pazienza è pari al suo rispetto per le istituzioni e che saprà reagire nel modo adeguato ad esse, con il voto democraticamente espresso.

La vicenda è grottesca ma al tempo stesso raggelante, perché svela aspetti della contesa politica che non solo assomigliano agli sciocchi e puerili sgambetti nella famigerata casa del grande fratello televisivo, ma ricordano i ben più temibili inganni che l’ideologia comunista ha saputo sfornare, in molte varianti ma sempre dalle conseguenze tragiche. Oltre a una meschina bellicosità psicologica, emerge qui infatti un ben più grave rigurgito di totalitarismo che, nonostante l’apparenza buonistica, la sinistra oggi al governo non riesce a mascherare, e che si nota anche nella vicenda che ha portato alla formazione di questo governo.

L’argomentazione che abbiamo sentito fin dal mese di agosto e che l’attuale maggioranza continua a diffondere per giustificare se stessa e quindi il rinvio di una consultazione elettorale che il buon senso auspicherebbe immediata è, dal punto di vista della logica, avvilente e, dal punto di vista dell’etica, degradante. Il primo motore di questo governo d’accatto è stato il senatore Renzi, che non molto tempo fa ha tranquillamente dichiarato, senza alcuna preoccupazione per l’incongruenza della sua tesi che non si deve far votare gli italiani adesso, perché così facendo si lascerebbe l’Italia in mano a Salvini; forse votare ora sarebbe interesse del PD, ma non degli italiani.

La foga di bloccare il centrodestra con ogni mezzo possibile ha finito per calpestare la logica. Infatti, se Salvini ovvero il centrodestra vince le elezioni, significa che la maggioranza degli italiani lo ha votato: sostenere che «può darsi che questa [cioè la scelta di andare al voto] sia la decisione autolesionista di parte del gruppo dirigente del PD, ma non credo sia l'interesse dei cittadini italiani» (così Renzi in una recente intervista), è uno schiaffo alla ragione oltre che un insulto a quella maggioranza di italiani che, dopo aver bocciato il medesimo Renzi nel voto di un anno e mezzo fa, oggi – per ammissione di Renzi stesso – darebbe la guida del Paese a Salvini e al centrodestra.

Poiché in un sistema liberaldemocratico l’interesse degli italiani è, ovviamente, stabilito dalla maggioranza degli italiani stessi, e poiché (come sostiene la sinistra) questa maggioranza voterebbe per Salvini, per Giorgia Meloni e per il centrodestra, l’interesse degli italiani è, con tutta evidenza, votare subito per affermare la propria volontà che coincide con il proprio interesse. Al di fuori di questo sillogismo c’è solo un territorio preda di scorribande politiche e di scempio istituzionale, uno scenario che la dignità nazionale e il giudizio storico esigono che venga chiuso il prima possibile.

Questo governo, presieduto da un premier uscito dal nulla politico, è non solo frutto di un abuso della sovranità che il Parlamento ha ricevuto dal popolo, ma anche uno scandalo per la morale civile e per il bene stesso delle nostre istituzioni. Alla base di questa prevaricazione c’è una distorta applicazione del principio machiavelliano della separazione fra politica e morale: la maggioranza giallorossa crede di poter legittimare la sua arbitrarietà con la spregiudicatezza politica, ma ha mostrato così il suo vero volto, dispotico e brutale, cinico e subdolo. Tratti antichi, di sovietica memoria, innestati su profili nuovi. Una scena orwelliana su cui agiscono inquietanti teorie post-democratiche che inneggiano a un super-controllo e limitano la libertà personale (non dimentichiamo le tesi di esponenti grillini sull’obsolescenza e superfluità delle istituzioni rappresentative, e a favore di una fantomatica democrazia diretta) insieme ad arcinoti schemi ideologici della sinistra comunista e post-comunista, del marxismo culturale e dell’odierno politicamente corretto.

L’argomentazione e la prassi dei sinistri oggi al potere violano sia la logica sia la democrazia, e quel che è peggio violano l’etica, quel fondamento ineludibile su cui si regge la vita sociale. E quindi riprendere il principio di Antigone, come ha fatto Matteo Salvini, è un dovere morale, per rispetto di una coscienza e di una identità di popolo che non possono essere soffocate da raggiri o maneggi di una sinistra che non ha mai perduto il suo tratto distruttivo essenziale: la menzogna e la violenza, contro le quali bisogna usare la forza della verità e della libertà. Antigone rivisitata, ma inconfondibile, e soprattutto vittoriosa.


di Renato Cristin