Di Maio sveglia! In Libia la guerra c’è già

Luigi Di Maio andrebbe elogiato per aver detto la verità circa la perdita di presa dell’Italia sulla situazione libica. Ma i ringraziamenti finiscono qui. Il viaggio compiuto dal nostro ministro degli Esteri a Tripoli in visita al presidente del Governo di Accordo Nazionale Fayez al-Sarraj e, successivamente, in Cirenaica a colloquio con il rivale di al-Sarraj, Khalifa Haftar, ha messo in evidenza il fatto che l’Italia non è più nella partita. Altri players sono entrati in gioco e promettono di trasformare la Libia in un teatro bellico violentissimo. Lo scopo è di misurare i rapporti di forza correnti tra potenze regionali e globali nel quadrante del Mediterraneo, dopo la rinuncia statunitense ad essere il dominus degli equilibri geostrategici nel Nord Africa. A un tiro di schioppo da casa nostra. Per chi non se ne fosse accorto la guerra in Libia non è un’ipotesi che la ragione non contempla: è realtà. E i due rivali sul campo si sono ritrovati, loro malgrado, alla testa di cordate internazionali che non intendono lasciare il conflitto da sconfitte. Con al-Sarraj c’è la Turchia e il Qatar; con Haftar ci sono l’Egitto, l’Arabia Saudita, la Francia e, soprattutto, c’è la Federazione Russa. Non si tratta di alleati occulti, essi non si limitano a fornire risorse finanziarie e armi ai rispettivi protetti, ma sono impegnati a inviare uomini per combattere al fronte. Finora sono stati impiegati gruppi operativi senza insegne ufficiali, truppe mercenarie che domani potrebbero essere avvicendate da contingenti regolari. E nel Paese Nordafricano si aprirebbe un conflitto internazionale conclamato. Come in Siria. Peccato, però, che tutto ciò avvenga praticamente sotto il nostro naso.

Si avverte rabbia e amarezza nel constatare a qual punto sia degenerata la situazione interna libica per l’insipienza dei governi italiani. Stavolta non ce la si può prendere con il destino cinico e baro: quello che sta accadendo poteva essere tranquillamente evitato se l’Italia avesse fatto il suo dovere. Ci sono stati anni di tempo per agire con un energico intervento di peacekeeping, come ripetutamente la comunità internazionale ci chiedeva di fare. Ma i governi italiani sono stati sordi e ciechi. O meglio, sei anni di potere della sinistra pseudopacifista hanno prodotto inazione sul fronte militare e, nel contempo, l’affermarsi di venefiche teorie pacifiste che in un territorio letteralmente nelle mani di clan e tribù fameliche si sono rivelate catastrofiche. Come ci si poteva illudere che si potesse arrivare a una soluzione politica della crisi senza che essa venisse vigilata e garantita dalle armi di eserciti multinazionali, in prevalenza europei?

Ancora adesso, dove tutto sembra perduto, ci è toccato ascoltare la dichiarazione del ministro Di Maio il quale ha asserito che “la soluzione non può essere militare” proprio nel mentre veniva cannoneggiato l’aeroporto dove l’aereo che lo trasportava doveva atterrare. I libici a sentirlo si saranno chiesti se fossero i protagonisti di una puntata di “Scherzi a parte”. Saranno fieri i terzomondisti di casa nostra. Adesso c’è la prova incontestabile che un pacifismo peloso e vile non porta la pace ma fomenta la guerra. Doveva essere l’Italia a dare le carte nella partita libica. Ora, invece, la soluzione del conflitto interno è nelle mani di Russia e Turchia. Siamo all’incubo assoluto. Potevamo immaginare che dopo più di un secolo tornasse a un passo da casa nostra la minaccia del nuovo Impero ottomano, incarnato dall’arroganza di Recep Tayyip Erdoğan? Si è forse riaperta la “Sublime Porta”? Abbiamo assistito alla débâcle di Lugi Di Maio che si è vantato di aver detto al presidente al-Sarraj che le armi turche non sarebbero dovute entrare in Tripolitania. Ma si sente quando parla? Il giovanotto non si è reso conto della durezza della risposta del suo interlocutore che, nel linguaggio corrente, equivale a uno dei “Vaffa!” tanto cari ai grillini. Un pragmatico al-Sarraj ha ribattuto a Di Maio che con il nemico che ha preso la periferia della capitale non si può andare per il sottile nel cercare aiuto. E visto che Erdoğan si è dichiarato pronto a intervenire militarmente è ipotizzabile che ciò accada nel volgere di qualche giorno e prima che la situazione sul campo si renda irreversibile.

L’escalation in corso ha spinto anche le autorità della città-Stato di Misurata, la “Sparta” libica, alla chiamata generale alle armi dei suoi cittadini. I misuratini non vogliono che Haftar si prenda tutta la Libia e per evitarlo sono pronti a resistere fino all’ultimo sangue. E Di Maio insiste con la soluzione politica? Il ragazzo vive sulla Luna. Di concreto nel carniere del suo viaggio non c’è nulla, se non l’idea di mandare sul posto un inviato speciale che possa riferire alla Farnesina dell’evolversi del conflitto in tempo reale. E questo sarebbe il gran risultato raggiunto? Se Di Maio avesse voluto rimettere in gioco l’Italia avrebbe dovuto annunciare a entrambi i suoi interlocutori libici la decisione di Roma di tutelare da vicino i propri interessi economici e strategici. L’invio della squadra aeronavale per effettuare esercitazioni a ridosso delle acque territoriali libiche sarebbe stato un buon segnale di deterrenza inviato da Roma alle parti in campo. Ma si tratta di una pia illusione. I pacifisti che abbiamo al governo non sanno andare oltre le rimostranze verbali. L’ultima, ieri, al Parlamento di Strasburgo. I grillini hanno presentato un’interrogazione per chiedere all’Alto Rappresentante della politica estera e di difesa della Ue che, da statuto, conta come il due di coppe quando la briscola è a bastoni, d’intervenire per minacciare la Turchia di bloccarne la candidatura all’ingresso nella Ue. Una cosa del genere a un tiranno della stazza di Erdoğan equivale a fargli il solletico alle ascelle. Politici seri e coscienti del proprio ruolo capirebbero che con una guerra in atto prima si spara e poi si tratta. Che sarebbe accaduto all’Europa nel 1942 se gli Stati Uniti, piuttosto che inviare gli eserciti contro il Terzo Reich, si fossero limitati a inoltrare note di protesta per il comportamento aggressivo della Wehrmacth? Semplicemente che oggi saremmo tutti sotto il tacco nazista e, altro che Anpi e “Bella ciao!”, marceremmo a passo d’oca.

In questo quadro, per niente edificante, non si trascuri un particolare non di dettaglio: è in corso la Missione bilaterale di supporto e assistenza in Libia (Miasit) che impegna un contingente delle nostre Forze armate. Il grosso è concentrato nei pressi della città di Misurata nel funzionamento e nella tenuta in sicurezza di una struttura ospedaliera campale, che di fatto svolge compiti di assistenza e soccorso alla popolazione civile dell’area. Ora, se il fronte di guerra dovesse spostarsi verso Misurata, i nostri ragazzi si troverebbero in prima linea. A quel punto Roma che farà? Resta a guardare o predispone un piano di supporto aeronavale per il nostro contingente? Ci piacerebbe saperlo. Per onestà intellettuale, la domanda non la rivolgiamo solo ai pacifisti al governo ma anche alle forze dell’opposizione. Perché, giusto per parlar chiaro tra amici, non vorremmo che certe posizioni miopi e bottegaie fossero impresse nel Dna di una borghesia codina e utilitarista, abituata a coltivare il proprio “particulare” e a non curarsi di ciò che accade oltre la punta del proprio naso. Se chiediamo ai grillini di imparare cosa significhi essere statisti, non possiamo non domandare al leader in pectore della destra plurale la stessa cosa. Speriamo solo che la risposta ci piaccia. Altrimenti, non resta che la canna del gas.

Aggiornato il 20 dicembre 2019 alle ore 10:20