Il Diritto nasce come Diritto civile

Elisabetta Chinaglia, magistrato in servizio credo ad Asti, annunciando la propria candidatura per le elezioni suppletive del Consiglio Superiore della Magistratura, ha criticato il collega Pasquale Grasso per essersi anch’egli candidato – nonostante fosse stato costretto a dimettersi da presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati per le posizioni assunte durante le recenti vicende del dottor Luca Palamara – e ha aggiunto che, per assegnare i posti direttivi, lei crede giusto utilizzare non solo il criterio dell’anzianità di servizio dei magistrati, ma anche quello della diretta esperienza professionale, facendo anche un esempio per illustrare il suo pensiero: se un magistrato ha curato per anni il settore civile, non potrà mai essere assegnato al Tribunale di Sorveglianza, che si occupa del trattamento penitenziario per i condannati in via definitiva.

Ora, a parte il fatto che Grasso ebbe a dire solo la verità, e cioè che le vicende in cui era impelagato Palamara non erano altro che le normali e abituali corrispondenze di carattere politico per assegnare i posti direttivi importanti, l’affermazione della Chinaglia – anche perché propria di larga parte dei magistrati e della stessa opinione pubblica – merita attenzione. E dunque se un magistrato si è dedicato per anni al settore civile, dovrebbe vedersi preferire altri colleghi per il Tribunale di Sorveglianza? Non sono d’accordo e spiego perché.

Innanzitutto, si sappia che dal punto di vista storico il diritto nasce come diritto civile e che dopo – molto dopo – si ramifica in diritto penale, amministrativo ecc., e che, nella specie, il diritto penitenziario, quello afferente al Tribunale di Sorveglianza, vede la luce solo da pochi decenni e precisamente nel 1975. Ciò significa, metaforicamente, che mentre il diritto civile rappresenta il tronco, gli altri settori del diritto ne rappresentano soltanto i rami che dal tronco nascono e dal tronco vengono nutriti.

Il giurista vero e proprio è dunque un civilista, avvezzo alla finezza dei ragionamenti, alla pluralità delle posizioni, alla garanzia paritaria per le parti in causa, dotato insomma di una autentica sensibilità giuridica.

Ora, immaginare che costui, se collocato in un Tribunale penale o di Sorveglianza, possa trovarsi a mal partito è assurdo quanto irreale. Vero è piuttosto il contrario e cioè che questi due Tribunali potranno giovarsi delle capacità e delle qualità professionali del civilista, per il quale le categorie proprie degli altri settori del diritto – per lui, avvezzo a gustare un Brunello d’annata – saranno semplici e forse insapori come bere un bicchier d’acqua.

Lo stesso accade in ambito linguistico: chi padroneggia un registro linguistico elevato sarà in grado di trovarsi a casa propria presso qualunque altro registro meno elevato, ma non è vero il contrario (e da qui l’assurdità di una scuola che pretenda di mettere i giovani a praticare anche i registri più modesti “per farli impratichire”: pura miopia pedagogica!).

Inoltre, vale per il giurista l’esigenza di evitare le specializzazioni perché ciascuna di esse contribuisce a produrre i cosiddetti “esperti”, la cui migliore definizione è la seguente: “L’esperto specializzato è colui che conosce sempre di più su sempre di meno”. Come dire: uno del tutto inutile. Perciò esperto è uno che sa molte cose, ma in realtà non ne capisce nessuna per il semplice motivo che non sa collegarle a tutte le altre: gli manca, tragicamente, la visione d’insieme.

So bene che nell’epoca contemporanea, da anni ormai ipotecata dalla ideologia ossessiva della specializzazione a tutti i costi, dogma indiscusso anche nelle Università, è come parlare al vento, ma sono cose che vanno dette comunque.

Ora, l’opinione della Chinaglia, per quanto assai diffusa ed anzi dominante, va stigmatizzata come ingenua e priva di fondamento teoretico. Infatti, si capisce subito che lo specifico del giurista non è trovare le risposte ai quesiti giuridici – tutte le risposte per migliaia di quesiti – ma prima di tutto comprendere quali siano le domande da porsi: chi non sa farsi la domanda corretta, non troverà mai la risposta giusta. Da qui, fra l’altro, il “primato della domanda” di cui parla la profonda lezione ermeneutica di Hans-Georg Gadamer, che ha attraversato tutta la cultura del Novecento e che interessa direttamente anche la scienza del diritto.

Ora, mentre per trovare le risposte basta compulsare i codici, per immaginare le domande non ci sono codici che tengano: non esistono, in linea di principio, codici delle domande. A prescindere dalla domanda corretta, mai sarà possibile trovare la risposta adeguata: compito specifico del giurista è individuare la domanda. Trovare le risposte verrà di conseguenza.

Da questo punto di vista, ciò che unisce i vari settori del diritto è assai più significativo di ciò che li divide: infatti, solo chi sia davvero dotato di sensibilità giuridica sarà in grado di individuare le domande corrette, qualunque sia il settore del diritto ove operi. E per esercitare questa sensibilità, bisogna dissodare il campo del diritto nella sua interezza, non lasciando nulla di intentato, esattamente al contrario di come pretendono i dogmi – oggi un vero mainstream – della specializzazione.

Si tranquillizzi perciò la Chinaglia. Potrà serenamente votare per assegnare un civilista al Tribunale di Sorveglianza. Non solo costui farà bene. Ma farà meglio degli altri. Anche di coloro che in quel Tribunale abbiano trascorso molti anni. Provare per credere.

Aggiornato il 19 novembre 2019 alle ore 10:18