L’Ex Ilva e il Governo dei giudici

Di rado mi è stato dato di sentire scempiaggini sesquipedali peggiori di quelle che in questi giorni vengono seraficamente pronunciate da quanti – politici o semplici osservatori – commentino le tristi vicende dell’Ilva di Taranto. Si tratta di dichiarazioni che a volte suscitano perfino un sorriso, tanto sono divaganti da sembrare perfino comiche.

Così è dato ascoltare esponenti dei 5 Stelle che, seriosamente presenti davanti alla telecamera e con aria pensosa, si dicono contrari, anzi contrarissimi al cosiddetto “scudo penale”, dando mostra però, man mano che avanzano lungo la tragica spirale di un discorso per loro troppo complesso, di non aver compreso nulla o quasi nulla di cosa mai possa essere codesto scudo al quale si oppongono: sarà quello di Aiace, si chiedono i più colti? O quello di qualcun altro? Chissà... intanto, meglio opporsi.

Altri, invece, sia dei 5 Stelle sia di altri schieramenti politici, con la mascella irrigidita e sulla scia di ciò che ebbe incautamente a dichiarare il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte nella immediatezza della nascita della crisi dell’acciaieria – e cioè che il Governo sarebbe stato “inflessibile” (forse perché si trattava appunto di acciaio) – dichiarano, senza arrossire a causa della scempiaggine del loro pronunciamento, che l’ArcelorMittal sarà costretta dal Governo a restare al suo posto, a tutti i costi.

Già. Ma con quale mezzo? Con i fucili? Con l’esercito? O forse con qualche ricatto? E di che tipo, se è lecito saperlo? Oppure con una controversia legale, opponendosi al recesso contrattuale, già dalla stessa esercitato? O, ancora, arrestandone i responsabili e destinandoli al lavoro coatto?

In realtà, non esiste un mezzo per costringerla a rimanere a Taranto, più di quanto possa già dirsi in relazione alla causa già in corso presso il Tribunale di Milano. Le cause non costringono nessuno – e meno male! – dovendosi svolgere secondo una loro logica e giungendo ad un esito processualmente attendibile, qualsiasi esso sia.

Come finirà allora la causa appena avviata? Non lo sappiamo, lo vedremo fra alcuni mesi, al momento della sua conclusione. Certo non domani o dopodomani.

Anche se nell’oceano di tante insulsaggini si fa non poca fatica a ragionare, cerco di farlo. E, ragionando, mi accorgo che esiste un soggetto che la fa da vero protagonista in questa vicenda e che invece inspiegabilmente non viene neppure citato: si tratta della magistratura di Taranto, che rappresenta il vero ostacolo alla prosecuzione dell’attività di ArcelorMittal, come del resto lo sarebbe per qualunque altro gruppo nazionale o internazionale. Infatti, essa non solo sequestrò anni orsono decine di tonnellate di acciaio già prodotto e pronto per la consegna ad acquirenti esteri – per un fatturato complessivo di centinaia di milioni – costringendo i vari governi (di ogni colore politico) a sfornare a getto continuo decreti urgenti per rimediare a tale assurda contrapposizione, ma è poi passata al ruolo di vero gestore della crisi: a volte occulto, ma autentico gestore.

Questo – e non altro – è il vero motivo che spinge la ArcelorMittal ad una fuga precipitosa: il doversi di continuo confrontare con una magistratura – come quella tarantina – che invece di “dire il diritto”, assume nei fatti il ruolo di amministratore della crisi dell’acciaieria, senza tuttavia averne le competenze tecniche e, meno che mai, quelle giuridiche. Ma vi sembra normale che la Procura abbia assegnato un termine all’azienda per provvedere ad alcune incombenze tecniche per un altoforno, dopo la scadenza del quale si sarebbe proceduto penalmente?

Mi vengono due domande.

La prima. Come fa la Procura a sospendere l’esercizio dell’azione penale – ammesso che fosse necessario esercitarla – autoassegnandosi un termine, quello stesso dato all’azienda, dopo il quale promuoverla? Non mi risulta che la Procura abbia il potere di sospendere l’esercizio dell’azione penale. Nessuna norma lo concede: o la esercita o no.

La seconda. Come fa la Procura a sostituirsi di fatto alle competenze proprie dell’assessore, del prefetto, del ministero, organismi tutti ai quali la legge attribuisce in via esclusiva e fra loro – si badi bene, soltanto fra loro – la competenza in tema di inquinamento e che sfocia nell’Aia (autorizzazione integrata ambiente)? Nessuna norma permette questa sostituzione.

Il vero è che ormai i giudici governano. E governano anche crisi del genere, in barba anche alle sentenze della Corte costituzionale. È infatti la Consulta a precisare con una decisione emessa nel 2013, la n. 85, proprio in tema di Ilva e nei confronti della magistratura tarantina che “le opinioni del giudice, anche se fondate su particolari interpretazioni dei dati tecnici a sua disposizione, non possono sostituirsi alle valutazioni dell’amministrazione sulla tutela dell’ambiente, rispetto alla futura attività di un’azienda...”. E ciò perché – precisava poco sopra la Corte – “Non rientra nelle attribuzioni del giudice una sorta di ‘riesame del riesame’ circa il merito dell’Aia, sul presupposto – come sembra emergere dalle considerazioni del remittente... prendendo in esame le norme relative allo stabilimento Ilva di Taranto – che le prescrizioni dettate dall’autorità competente siano insufficienti e sicuramente inefficaci in futuro”.

Più chiaro di così! Ma i politici fingono di non capire, tranne i 5 Stelle che forse non capiscono davvero. Gli altri hanno forse paura di denunciare che l’ArcelorMittal fugge proprio a causa di queste invadenze della magistratura in competenze non sue che comporterebbe poi l’apertura di un procedimento penale. Mentre scrivo queste note giunge notizia che la Procura di Milano ha aperto un fascicolo per eventuali reati commessi nell’ambito del recesso esercitato da Arcelor.

Di bene in meglio. Ormai siamo in piena “crinocrazia”, che vale “governo dei giudici”: una stoltezza, un suicidio delle istituzioni! Propongo perciò che i magistrati vengano allo scoperto e si seggano nei ministeri e in Parlamento. Tanto è come se già occupassero quei posti. Ma almeno si eviterebbe ogni mistificazione.

Aggiornato il 15 novembre 2019 alle ore 18:21