Lara Comi: annunciazione di manette a gogò

Sarà pur vero che il compito dei media è di informare il cittadino. La notizia regna sovrana e come tale per chi la diffonde è un obbligo, un must, un dovere. C’è notizia e notizia, si capisce. Grande e piccola, importante e meno importante e questa valutazione, pur nella sua oggettività, appartiene soprattutto a chi la diffonde. E il peso varia, e di molto, quando ci sono di mezzo le persone.

Non siamo qui a polemizzare verso questo o quel notiziario e al suo notiziante tanto più che non esiste in democrazia e nella libertà di pensiero e di parola un sistema escludente a priori nella divulgazione di persone e cose, note, meno note, e di cui si è venuti a conoscenze. Il fatto che riguarda la vicenda dell’ex onorevole Lara Comi rientra in quest’ultima categoria sia pure di sbieco, in una sorta di velata eppur significativa anticipazione o meglio di annunciazione del fatto medesimo nel senso e nella misura che l’anticipo pervenuto a dei quotidiani non poteva non suscitare una certa suspense per un dopo, che è ovviamente arrivato.

Ma questa riflessione potrebbe lasciare il tempo che trova se non fosse che la decisione del giudice in riferimento agli episodi non certamente lodevoli e affatto biasimevoli non poteva che creare nei mass media non solo e non tanto una sorpresa, ma una conferma di un approccio generalmente “colpevolista” sia per la notorietà politica di Lara Comi sia per aspetti da vera e propria retata “criminale” all’interno delle istituzioni.

La titolazione dell’inchiesta, complessa e che viene da lontano, possiede già un suo potere evocativo con quel nome da romanzo dell’Ottocento, “la mensa dei poveri” (un noto ristorante meneghino) con suggestive assonanze romantico-veriste con l’eterna dicotomia ricchi/poveri - e a questa tipologia narrativa devono aver dato un contributo non effimero le parole introduttive dello stesso Gip cui si riconoscono ovviamente gli obblighi del suo incarico ma, con in più e di diverso dalle solite cadenze burocratico-giudiziarie, un personale taglio narrativo dove l’accusa non attende il classico finale delle manette o quasi, ma si dispiega subito in un fraseggio di una certa elaborazione nella scelta dei termini pur sempre accusatori giacché, pur giovane, “Lara Comi ha mostrato una non comune esperienza nel far ricorso a collaudati schemi criminosi volti a fornire una parvenza legale al pagamento di tangenti ecc.”. In cauda venenum, insomma.

Noi non entriamo nel merito specifico delle accuse, spettante agli avvocati, anche se proprio da una sommaria lettura della decisione del Gip parrebbe se non forzata abbastanza sopra le righe (attenendoci allo stile narrativo di cui sopra) l’arresto dell’imputata, se non fosse che la reazione mediatica, non solo ha salutato con entusiasmo la sunnominata retata, ma ne ha elevato a simbolo del male corruttivo endemico alla Polis italica la stessa Lara Comi, simbolo di una politica che non cambia ma, anzi, è per l’ennesima volta piombata nelle vergogne che nemmeno il manipulitismo, assurto a divinità di quel leggendario cambiamento, è riuscito ad estirpare.

E la domanda che dovrebbe essere posta: e se la Lara Comi fosse innocente? Non pare aver trovato spazio in moltissimi mezzi di informazione nel solco di quello stato etico che è di per sé la negazione dello stato di diritto. E dunque: vai col giustizialismo di sempre in cui il fideismo informativo rispetto alle decisioni giudiziarie si esalta in una narrazione dove il colpevolismo a priori nega non soltanto un minimo di rispetto al principio della non colpevolezza fino a una sentenza finale ma, al tempo stesso e per il potere massmediatico, proclama una condanna senza appello, segnata come un indelebile marchio d’infamia.

È lo stato etico, bellezza.

Aggiornato il 15 novembre 2019 alle ore 23:57