Tivù, conduttori, demagogia e indici di ascolto

C’è poco da fare se anche la tivù e i suoi conduttori e conduttrici (non tutti, ma quasi) diventano guidatori e guidatrici. I politici, non tanti, troppo, sono spesso accusati di facile demagogia, di comodo populismo, di slanci giustizialisti. E c’è, purtroppo, del vero in queste accuse tanto più in questi tempi nei quali ciò che resta della Polis, intesa come luogo-comunità dove si si scambiano dialetticamente visioni diverse per la gara finale del giudizio elettorale, è ben poca cosa anche e soprattutto con l’ausilio della tivù (e dei social, si capisce).

Del resto, la crescita oltre misura della mala pianta dell’antipolitica mascherata dalle maledizioni contro la Casta è sotto gli occhi di tutti, specialmente di coloro che seguono la nostra televisione (pubblica e pure privata) la cui offerta, a cominciare dai dibattiti in ausilio della piazza di cui sopra, si sono trasformati in uno spettacolo altro, in una scorribanda da mane a sera nella quale la dialettica delle opposte visioni fra i diversi rappresentanti non è più condotta in funzione della neutralità di chi conduce, ma nel suo opposto. Si dirà che anche la sua funzione non può non essere contagiata da una certa partecipazione parapolitica, ma proprio per la portata “popolare” questa funzione dovrebbe nascondere o frenare qualsiasi pulsione partigiana appunto per il rivolgersi all’ormai mitizzato popolo in ascolto. Spesso e purtroppo sviato sulla strada di quell’anticasta tramutatasi, come ben sappiamo, in una negazione della politica in sé e per sé.

Si è verificata una sorta di ribaltone rispetto a prima, una speciale modificazione conduttrice laddove, il più delle volte, tale funzione neutrale è denegata da interventi, da inframmettenze, da interruzioni delle quali il politico, in scena con altri suoi colleghi di opinioni diverse, deve fare i conti non con una guida a favore dell’ascoltare e della chiarezza del dibattito. Ma con un collega extra, con un partecipante nello scambio tramutatosi spesso in una rissa per la quale la vittoria è di chi grida di più issando, oltre a quella della retorica endemica di noi italiani, la bandiera della demagogia populista. E l’audience s’impenna.

La condizione al di sopra le parti di chi è chiamato al ruolo di guida si è capovolta in un’autoconvinzione di portatore di visioni partecipanti al loro scambio vagheggiando una sorta di collocazione sfiorante il Deus ex machina perché esaltato dallo strumento televisivo. In questo quadro anche il decadimento della dialettica in un aggrovigliarsi di parole ed esclamazioni in libera uscita ha contribuito a colpire al cuore la Polis vellicando non il cervello del Paese ma alla sua pancia, rivolgendosi a questa e non a quello salvo magari una lamentazione, da parte del o della conducente, per la politica, quella vera. Che non c’è più. Anche per causa loro.

Del resto, l’assenza quasi totale di dibattiti a proposito di clamorose vicende della giustizia, vedi il caso di Maurizio Lupi, finito nel tritacarne mediatico, perciò per un obbligo “etico” costretto alle dimissioni salvo, quattro anni dopo, uscito “assolto” pur non essendo mai indagato, costituisce di per sé un finale in cui il silenzio dei media oggi è tanto più esemplare quanto più fu, quattro anni prima, la canea delle grida di un giustizialismo trionfante sul rispetto, comunque e sempre, di ogni persona.

E mentre si vanno scorgendo altre vicende che toccano i radicali, con la consueta propensione ad usare il manganello mediatico, si alzano alte e forti le voci, anche femminili e ovviamente dai mass media, contro la cosiddetta casta forense che è favore della prescrizione, fatta passare come una sorta di Cupio dissolvi della giustizia, quando, al contrario, è la testimonianza, tra le altre, delle sue impressionanti lentezze dovute anche all’intangibilità di una funzione scambiata per sacrale quanto, invece, è né più né meno che una funzione del tutta umana.

E pare quindi che la voce dei garantisti, quasi sempre assente nei cosiddetti dibattiti tivù, continui e continuerà nel solito silenzio. Magari col pretesto del deus ex machina, dei leggendari indici d’ascolto, giacché la demagogia, quella sì, fa audience.

Aggiornato il 11 novembre 2019 alle ore 22:24