Meloni, le ragioni di un successo

mercoledì 30 ottobre 2019


Si fa presto a dire che l’Umbria ha tradito la sinistra. Si fa presto ma è vero, verissimo: in un solo anno il Movimento Cinque Stelle ha perso venti punti (diconsi, venti), e il Partito Democratico più di 5. Una batosta cui fa riscontro dall’altra parte la squillante vittoria di Lega e Fratelli d’Italia nonostante il declino, pressoché inarrestabile, di una Forza Italia che ha perso quasi il 6 per cento, ennesimo segnale di un sorta di disinteresse per la sua creatura da parte di Silvio Berlusconi, per non dire d’altro.

Il Governo Conte bis ha, come si dice, il fiato corto giacché l’alleanza giallo-rossa non ha superato le difficili condizioni emerse in quella giallo-verde e, semmai, peggiorandole in un quadro generale nel quale spicca un’assenza tanto colpevole quanto vistosa, vale a dire il nulla fatto per favorire una crescita di cui il Paese ha estremamente bisogno.

Nelle analisi del voto del centrodestra ci si sta soffermando sull’incontestabile conferma del trend più che positivo della Lega di Matteo Salvini cui va riconosciuto, anche da parte dei più severi, un’attenzione pluriquotidiana per la leggendaria “gente” (che lui chiama “popolo”) di cui, più di qualsiasi altro leader, la sua frequentazione fisica è stata ed è la sigla salviniana, il sigillo di uno speciale abbraccio che viene dal lontano bossismo, sia pure filtrato e adattato ai tempi nuovi da parte della fitta schiera di addetti all’immagine mediatico-politica di Salvini che ne rimandano ora per ora gli eventi, a cominciare da quelli minimi di una cravatta allacciata fino agli arrivi a ritmo di marcia nei comizi strabordanti di baci, abbracci e selfie, per approdare in qualche programma delle tivù.

In verità, e ad una più attenta lettura dei dati finali a proposito del chi ha vinto e chi ha perso, la palma della vittoria in Umbria va attribuita a Giorgia Meloni, nel cui successo spicca ovviamente il traguardo agognato e superato delle due cifre ma, come ha notato l’esperta sondaggista Alessandra Ghisleri, è riscontrabile la cessione a tale risultato di qualche voto da parte della Lega. Con il che non si vorrebbe suscitare alcun allarme in un Salvini che, ad ogni buon conto, ha fin da subito sottolineato l’importanza di un’alleanza per gli imminenti appuntamenti elettorali, a cominciare da quello in Emilia-Romagna. Uniti si vince, è il nuovo slogan.

Nella vittoria di Giorgia Meloni ha svolto un ruolo di primo piano, più che il principio ormai acclarato della leadership, quello dell’offerta politica, della proposta, dei progetti, del programma. In questo senso è di una certa utilità sottolineare una sorta di cambiamento, peraltro già notato a livello del lavoro parlamentare e poi nei programmi regionali in cui un osservatore ex parlamentare come Guido Crosetto ha rilevato uno spazio maggiore e più attento alla parte produttiva del Paese, con proposte concrete per aziende e lavoratori, anche concordate con le associazioni da Confindustria agli agricoltori. E non è un caso che un analista come Luca Ricolfi ha apprezzato il piano di riduzione delle tasse di FdI mentre Carlo Calenda, dal canto suo, ha avuto modo di dire che quello della Meloni è il programma che gli piace di più su una base, si vorrebbe qui aggiungere, di una linea direttiva per una destra non sovranista ma conservatrice, che mette al centro della sua visione programmatica e politica la difesa dell’interesse nazionale. Anche per una Ue comunque da migliorare, l’attenzione cambia. Con un approccio per dir così costruttivo con l’Europa, con obiettivi chiari e rivendicazioni senza quel declamatorio “battere i pugni sul tavolo” che spesso finisce con l’essere fine a se stesso.

In questo quadro, per certi aspetti ribaltati rispetto all’antico, pare di scorgere una diversa Meloni, che si è posta un problema a suo modo stilistico. Lo stile – in una politica troppo spesso venata di urla e di proclami sotto le cui grida si nasconde un nulla del quale non pochi elettori si stanno accorgendo voltando le spalle – diventa un’arma decisiva.


di Paolo Pillitteri