Prima i diritti

Si fa presto a dire Stato di diritto. In senso strettamente giuridico, Stato di diritto erano l’Italia fascista - che varò codici tecnicamente perfetti, ineccepibili anche sotto il profilo linguistico - e la Germania nazista, che assoldò giuristi di prim’ordine, tra i quali Carl Schmitt.

Come era solito ricordare Bobbio, le leggi del ventennio tedesco erano delle vere e proprie aberrazioni, ma non per questo non erano valide ed efficaci. Pertanto, a meno che qualcuno creda ancora nella formula di Radbruch, suggerirei di declinare al plurale la locuzione - Stato dei diritti - con tutte le implicazioni che ne derivano, e di abbandonare la visione salvifica della legge, che nasce dall’erronea identificazione dei primi (i diritti riconosciuti dallo Stato) nella seconda (la legge prodotta dallo Stato).

Le norme affermano o proteggono i diritti, ma non sono esse stesse diritti e non ne giustificano l’esistenza. Il contenuto di una disposizione di legge può assumere qualunque connotazione e imporre qualsivoglia divieto, senza, per questo, diventare invalido. L’invalidità, infatti, presuppone un confronto della norma scrutinata con una norma di rango superiore che esprima concetti antitetici ed incompatibili. Quest’ultima, poi, sarà assoggettata ad identica verifica e così via, fino all’apice del sistema; fino alla norma di cui non è predicabile la soggezione ad altre.

Qui, sulla vetta, bisogna arrestarsi e prendere atto che le valutazioni espresse in precedenza sono del tutto inutili. Nella norma di base, la grundnorme, non c’è assolutamente nulla oltre alla fonte di legittimazione di quelle derivate. È vuota, la grundnorme, perché è sublimazione della forma in cui consiste il diritto. Hans Kelsen diceva che, squarciato il velo della grundnorme, sarebbe apparso il terribile volto della Gorgone del potere: quello che abbiamo sperimentato nel maledetto ventennio del secolo scorso.

Dovremmo avere imparato la lezione. Dovremmo avere capito che la legge è l’abito che facciamo indossare ai principi, che vivono di vita propria e sopravvivono anche alle leggi infami. Dovremmo avere capito, insomma, che le leggi valgono tutte allo stesso modo, ma, per essere rispettate, devono essere espressione di quei principi elaborati nel tempo, con immane fatica e sacrificio di vite; principi che riteniamo irrinunciabili e che segnano il grado di civiltà raggiunto; principi non negoziabili, perché diventati parte di noi.

Questa lunga premessa ha un solo scopo: chiarire, ove ancora ve ne fosse bisogno, che non ci si alza una mattina d’inverno con l’idea di cancellare la prescrizione, abolire l’uso del contante, alimentare la delazione, assoggettare tutti al controllo del Moloch di Stato, sperando di farla franca e pensando di detenere il monopolio della legge.

Le leggi, infatti, valgono; i diritti, però, valgono di più e, soprattutto, vengono prima.

Tanti auguri, ministro Guardasigilli; tanti auguri per i suoi studi giuridici, che prima o poi vorrà finalmente intraprendere.

Aggiornato il 30 ottobre 2019 alle ore 12:33