Fanno i vertici per i manovratori di... manette

Sullo sfondo di un Bilancio rivelante difficoltà, asperità, stop and go, e specialmente gravi contraddizioni interne del Governo Conte-bis, con un Luigi Di Maio ognor agitatorio alla ricerca di un ubi consistam per le sue aspirazioni di controllore anticontiano, si muovono i primi passi di Italia Viva.

È evidente che trarre conclusioni dal misero 5 per cento (come da sondaggio) per la neonata Italia Viva renziana, proprio in relazione a quel dato, può servire ad una polemica del day-by-day, ma il problema non è questo, anche riflettendo sul troppo breve tragitto fino ad ora compiuto. Il problema è un altro, anche al di là e al di sopra degli applausi in quella Leopolda divenuta l’appuntamento renziano per antonomasia e, al tempo stesso, una sorta di fonte battesimale ideologica a proposito della ripetuta opzione privilegiante, a parole, il centro, donde i richiami ai delusi di Forza Italia.

Il più vero dei problemi sta nel punto che la ricerca obbligata dei voti non può non tener conto di un fatto incontrovertibile, ovvero nella collocazione politica dell’ex Presidente del Consiglio, che non solo ha fatto nascere questa maggioranza spingendovi dentro un riluttante Nicola Zingaretti, ma ne fa parte con ministri, per dir così, strategici. Una posizione certa, fissa, niente affatto ambigua nonostante i colpi di spillone contro un Conte ai limiti dell’esaurimento nervoso. Una collocazione che più che di centro vorrebbe costituire un neonato baricentro con parole e promesse che diventano velleitarie nella misura con la quale si portano dietro una posizione politica che è non soltanto di sinistra ma, all’interno della maggioranza, più a sinistra possibile.

Dato questo quadro, si presume non di breve durata al di là dei suddetti colpi di spillo, specialmente a proposito della manovra di Bilancio, è non poco possibile che il richiamo a tutte le forze di centro susciti entusiasmi e adesioni, men che meno di massa.

La manovra, con le sue incredibili liturgie nelle verifiche di maggioranza con i relativi vertici, e provenienti proprio dai reduci di un Movimento per antonomasia anti-Casta, divenuto Casta (grazie al potere, il cui appetito viene mangiandone), sta già prestando a Matteo Salvini e ai suoi alleati del centrodestra un’occasione ghiotta, tutta da sfruttare, e non soltanto per ora.

Se il conflitto fra primo ministro (per ora) e ministro degli Affari esteri (che gioca a fare il premier) è assai forte, si è notato il gioco invero pesante ma sempre più invadente di protagonismi destinati ad accordi di bassissimo livello, frutto anche della presentazione di leggi dipinte sui social come scelte per grandi miglioramenti per la popolazioni, se non come delle vere e proprie rivoluzioni, quando, al contrario, altro non sono che invenzioni puerili, vedasi le tasse sulle bevande e la proibizione dell’uso del contante.

La verità è che, invece di porsi il tema della reale utilità delle leggi, soprattutto in riferimento alle tassazioni, si valuti soprattutto il loro retroscena come apporto alle volontà di visibilità, alle sempre attive spinte alla propaganda e agli slogan conditi, ovviamente, in salsa giustizialista, come del resto ben si conviene a pentastellati, propugnatori delle manette ai reprobi, ovviamente prima ancora di una loro condanna definitiva, negando il principio basilare della condanna dopo ogni sentenza, e dopo un regolare processo.

E ha un bel dire uno degli economisti più importanti come Carlo Cottarelli che, a proposito della magnificata Manovra, ha osservato che “essa si basa su due pilastri portanti: deficit e nuove entrate; in ogni caso non apporta risorse per la crescita rispetto al 2019”.

E c’è un Renzi che punta al 2023...

Aggiornato il 24 ottobre 2019 alle ore 10:15