Italia a 5 Stelle: viale del tramonto

Dieci anni e li dimostra tutti. Alla festa nazionale organizzata a Napoli, il Movimento Cinque Stelle si presenta logoro, affaticato dalle lotte intestine per il potere. L’ex “meglio gioventù”, che avrebbe dovuto rivoltare le istituzioni come un calzino, è cappottata per inseguire poltrone, seggiole e strapuntini. Ma cosa sono diventati questi giovani vecchi? Niente meet up ma convention aziendale di piazzisti travestiti da manager. Sono partito di governo, è vero. Ma sono ancora movimento di popolo? Non ci credono neppure loro di rappresentare gli italiani. Il mantra è “andare avanti al governo a qualsiasi prezzo”. E chi dissente, tranne alcune lodevoli eccezioni, lo fa perché è stato escluso dai posti di comando, non perché pensi in coscienza che si stia sbagliando strada.

In fondo, Luigi Di Maio non mente quando dal palco della Mostra d’Oltremare dice: non siamo più la stessa cosa di dieci anni fa. Appunto, cosa sono oggi? Dieci anni fa erano la speranza di un mondo diverso, oggi sono la ruota di scorta della sinistra. Ieri volevano moralizzare la politica, adesso sono la rappresentazione plastica della normalizzazione del ribellismo. Sognavano la rivoluzione, si sono accontentati del posto in banca. Il sofisma secondo il quale essendo tramontata la distinzione tra destra e sinistra a loro fosse consentito di stare con gli uni o con gli altri senza per questo provare alcun disagio o forma di vergogna, non regge più. Il vindice delle ideologie date improvvidamente per morte è tornato a smascherare i soliti tipi infingardi del guicciardiniano “Franza o Spagna purché se magna”. Antonio Polito, dalle colonne del Corriere del Mezzogiorno, evoca una suggestione: “Che fine faranno i Cinque Stelle?... La velocità con cui nascono e muoiono i partiti politici, crescono e declinano le leadership, salgono e scendono i consensi, è diventata così frenetica ai giorni nostri da non poter dare per scontato che a un decennio di vita ne segua inevitabilmente un altro. Voglio dire che nessuno può escludere che tra dieci anni non esistano semplicemente più...”.

Mai considerazione fu più appropriata. Si chiamano stelle ma sono stati una meteora destinata a polverizzarsi nell’oscurità dello spazio siderale. Non avere radici, non appartenere a una storia, non riconoscersi in un’ideologia, non avere una visione del mondo sarà stato pure fico in alcuni momenti di disorientamento generale, ma il popolo dopo ogni sbandamento ritrova il suo equilibrio e cancella i fattori patogeni che hanno contribuito a generare confusione. Per questo i Cinque Stelle spariranno. Lo ha capito il padre-padrone Beppe Grillo che, con indubbia astuzia, li ha venduti alla Sinistra prima che fosse troppo tardi e che ieri l’altro dal palco di Napoli non ha lesinato i suoi “vaffa!” a coloro che nel Movimento ancora nutrono dubbi sull’operazione di apparentamento con il Partito Democratico.

Ora, è del tutto legittimo che il capo provveda ad accasare i suoi adepti finché è in tempo, ma ciò che neanche il più carismatico dei leader può fare è dire agli elettori come comportarsi. A una parte di italiani che in passato hanno votato Cinque Stelle potrà anche star bene la svolta perbenista, filo-establishment, del Movimento, che in Italia e in Europa sceglie di indossare il blazer d’ordinanza al posto degli informali jeans e maglioni dolcevita; di certo esiste un’altra porzione significativa di elettori Cinque Stelle che non ha alcuna intenzione di trasformarsi in manipolo ascaro del sistema di potere della sinistra. E cosa farà il giorno delle urne? Resterà a casa o “un po’ per celia e un po’ per non morir...” s’inventerà uno scherzo da prete per Grillo, Casaleggio e soci votando centrodestra? Non bisognerà attendere molto per scoprirlo.

Sapremo tra due settimane come i cittadini, a cominciare dall’Umbria, avranno accolto la novità del patto Pd-Cinque Stelle. Non sarà la volontà di tutti gli italiani, ma varrà da indicatore d’orientamento e in politica i segnali contano, eccome. In Umbria si vota per il rinnovo della presidenza e del Consiglio regionale. L’ultima volta, nel 2015, vinse di non larga misura la candidata del centrosinistra, Catiuscia Marini. Il suo 42,78 per cento contro il 39,27 per cento dello sfidante del centrodestra. Il Movimento Cinque Stelle, che correva con un proprio candidato, raccolse 53.458 voti, il 14,31 per cento dei consensi complessivi. Nella circostanza votarono 391.210 elettori, il 55,43 per cento degli aventi diritto. Alle Politiche del 2018, l’anno del boom pentastellato, nella circoscrizione dell’Umbria il Cinque Stelle ha totalizzato 140.731 voti, pari al 27,53 per cento dei votanti che sono stati 525.978 (78,23 %).

Ora, senza voler spaccare il capello in quattro, è ragionevole presumere che Di Maio e soci potranno cantare vittoria se il prossimo 27 ottobre raccoglieranno consensi per la loro lista in una consistenza numerica che si collochi tra la percentuale conseguita alle ultime Regionali e quella raggiunta con l’exploit delle scorse Politiche. Un risultato inferiore sarebbe più di una sconfitta: una Caporetto elettorale. Ne sono consapevoli i dirigenti del Movimento che non a caso anche dal palco di Napoli hanno continuato a frenare sull’ipotesi di maggiori confluenze con il Partito Democratico, avanzata da Nicola Zingaretti. Attendono l’Umbria per capire da che parte spiri il vento. Tuttavia, indipendentemente verso quale direzione soffi, una cosa è certa: il vento non torna indietro. Al filosofo greco Eraclito si fa risalire il celebre aforisma: “πάντα ῥεῖ”, tutto scorre. Come a dire: non ci si bagna due volte nella stessa acqua del fiume che scorre. Sacrosanto! E i Cinque Stelle? Sono acqua passata.

Aggiornato il 14 ottobre 2019 alle ore 12:22