The giornalisti

sabato 21 settembre 2019


Il mestieraccio della carta stampata sta diventando un fenomeno pop: la sostanza è meno importante della forma, l’esiguo numero di battute diventa più importante dell’approfondimento sui contenuti, la Rete diventa più importante della carta, le comparsate in televisione tracciano la linea tra il giornalista da salotto buono e quello sfigato. Addirittura sta diventando determinante anche la scelta accurata relativa al tempo che intercorre tra un’articolessa e l’altra: non ti sovraesporre altrimenti non prendi molti “like”, dicono. E lo dicono non sapendo che così riducono questo mestiere alla stregua di quelle un po’ preziose che prima ti contattano, poi spariscono, poi ricompaiono sempre dosando bene i tempi manco fossero delle imprendibili Mata Hari. Così facendo, più che il mestiere di giornalisti, si finisce con il fare The Giornalisti, l’ormai ex band musicale che proprio in questi giorni sta affrontando una scissione. Ed è proprio di scissione che parliamo, questa volta però riguardante un altro fenomeno più pop che politico: Matteo Renzi e il renzismo.

Si può dire che quello di Renzi sia un messaggio politico? Più che altro crediamo si tratti di Pop art: Andy Warhol riproduceva moltissime volte la stessa figura alterandone i colori e riuscendo così a svuotare di ogni significato ciò che rappresentava proprio con la ripetizione dell'immagine stessa su vasta scala, reputando che l'arte dovesse essere "consumata" come un qualsiasi altro prodotto commerciale in una sorta di democrazia sociale dell’arte.

Renzi, con i suoi progetti fumosi finalizzati ad occupare lo spazio politico del futuro, con la sua megalomane e vacua pretesa di concentrarsi sul lunghissimo periodo, con la banalizzazione del concetto di morale in politica, con i suoi strappi plateali perché azzardati non fa altro che spostare l’attenzione sui colori del quadro e non sul contenuto. Cosa ancor più grave è che coloro i quali dovrebbero illustrare le cose come stanno (the giornalisti) sono così hard pop e distaccati dalla realtà da essere sempre disponibili ad accendergli un faro in faccia mettendolo sotto i riflettori e seguendolo nella sua narrazione che trasfigura la realtà.

E allora, diciamocela chiaramente: lo scisma renziano non è un fenomeno inaspettato dato che anche l’imbelle Nicola Zingaretti ha candidamente affermato di non essere stato sorpreso dalla scissione dell'ex premier e di averlo capito "dall’atteggiamento di poca vicinanza e dalla non partecipazione alla vita del partito che non ho mai compreso fino in fondo". Il segreto di Pulcinella insomma, quel disastro annunciato che un Partito che si candida a guidare il Paese come quello del Nazareno ha subito passivamente.

Ma voi affidereste un Paese ad un tizio come Zingaretti il quale – ben sapendo che da un momento all’altro i renziani lo avrebbero lasciato in braghe di tela – si fa strattonare al governo contro la sua volontà dal capo dei venturi scissionisti, regalandogli la golden share sull’Esecutivo? Eppure questi allegri buontemponi sono lì con l’incoscienza di chi si reputa in grado di manovrare l’economia, la politica internazionale e tante altre patate bollenti di una complessità spaventosa.

E il Presidente Sergio Mattarella, nel suo ruolo di saggio padre nobile della Patria, si aspettava o non si aspettava che una maggioranza composta da due partiti sarebbe stata destabilizzata a breve dalla scissione di Renzi che, come dice Zingaretti, era nell’aria? O al Quirinale certi tipi di arie non arrivano? Possibile che Zingaretti, nei tanti colloqui avuti con il Capo dello Stato, non gli abbia rappresentato questo segreto di pulcinella? E al Colle pensano ancora che una maggioranza che si scinde a Governo “ancora caldo” sia una maggioranza politicamente coesa? Noi pensiamo e scriviamo dal mese di agosto che il Capo dello Stato avrebbe dovuto fermare questo scempio abbastanza evidente. Ma evidentemente non siamo The Giornalisti.


di Vito Massimano