Centrodestra Giano bifronte: di lotta e di governo

Il Governo “Conte bis” comincia il suo rapido cammino parlamentare per giungere nella serata di domani ad avere la fiducia in entrambi i rami del Parlamento. Intanto, l’opposizione pensa bene di spaccarsi. Forza Italia va in aula, Fratelli d’Italia e Lega sono questa mattina in piazza. Parte male la coalizione di centrodestra. Perché questo Governo dei perdenti duri il meno possibile non basta sperare nella litigiosità dei due nuovi partner che si sono accordati per spartirsi il potere dopo aver trascorso anni a insultarsi reciprocamente. È necessario che l’opposizione sia forte e compatta. Ora, i vertici di Forza Italia, pur assicurando che faranno la loro parte di contestatori dell’odierno inciucio, prendono le distanze dalle iniziative di piazza del duo sovranista Meloni-Salvini. La tesi ufficiale è che la buona opposizione è quella che si fa in Parlamento e non urlando per le strade.

Come argomentazione per giustificare una scelta altrimenti poco comprensibile non sta in piedi. Ma chi l’ha detto che le due modalità d’opposizione siano incompatibili? Se la dirigenza forzista si ostina a sostenerlo rischia di perdere ogni residua credibilità. Negare oggi il valore della piazza per Forza Italia significa sconfessare una parte importante della propria storia. Hanno forse dimenticato i consiglieri che affollano la corte di Arcore ciò che accadde il 2 dicembre 2006? Lo slogan “Mobilitazione generale” dice niente a nessuno? Per i deboli di memoria facciamo un ripasso. C’era il secondo Governo Prodi, quello dell’ammucchiata da Rifondazione Comunista a Clemente Mastella. “L’Unione”, così era stata battezzata la formula succeduta all’Ulivo, in Parlamento aveva numeri risicati. La litigiosità tra gli alleati era fortissima. L’allora “Casa delle Libertà”, guidata da Silvio Berlusconi in partnership con Umberto Bossi e Gianfranco Fini, decise di infliggere una prima robusta spallata al Governo arcobaleno. Fu chiamata la piazza al grido di: “Grazie a dio, nella mia famiglia, non ci sono comunisti”. Berlusconi in persona si spese perché gli italiani mostrassero platealmente il loro desiderio di liberarsi di un Governo nemico del popolo e dell’Italia. Per l’adunata fu scelta Piazza San Giovanni, a Roma.

Uno schiaffo tutt’altro che simbolico alla sinistra che aveva eletto quel luogo approdo storico di tutte le sue oceaniche manifestazioni. In quel sabato italiano in periferia era calata la nebbia, ma la temperatura del pomeriggio nel centro città si presentava accogliente. Oltre le più rosee previsioni giunsero nella capitale due milioni di persone a protestare. “Il Foglio” di Giuliano Ferrara, per l’occasione, omaggiò il Cavaliere con una vignetta nella quale il leone di Arcore appariva nei panni di Napoleone. Paolo Bonaiuti, in trance mistica già dalle 3 del pomeriggio, a corteo appena avviato, tempestava di telefonate le redazioni dei principali quotidiani ripetendo la stessa frase: “Siamo una marea!”. Per la destra fu una grande giornata. Secondo molti commentatori politici fu per il Governo Prodi il primo avviso dell’avvicinarsi di una rovinosa caduta. Il secondo decisivo colpo al centrosinistra arrivò un anno dopo da un’altra adunata di popolo del centrodestra, il 18 novembre 2007Milano in Piazza San Babila. Fu la volta passata alla storia come quella del “discorso del predellino”, gran colpo di teatro di Silvio Berlusconi che segnò la nascita di un soggetto politico unitario della destra moderna, chiamato “Popolo delle Libertà”. L’iniziativa di protesta organizzata da Forza Italia aveva un titolo molto evocativo: “Subito al voto”. Quel centrodestra sapeva essere in sintonia con la propria gente e ritrovarsi nelle piazze a dimostrazione del fatto che la condotta moderata non è in sé negatrice del coraggio di manifestare in strada per le proprie idee. Oggi, ciò che resta di quella fase epica sceglie l’opposizione nelle sedi istituzionali. Per quanto possa essere genuino lo sforzo di contrastare la sinistra in Parlamento, esso non arriva alle orecchie e soprattutto ai cuori della gente. È perfino facile per i partner sovranisti, lasciati soli a gestire la protesta, poter insinuare che dietro la ritrosia dei forzisti a scendere in strada vi sia il sospetto di una qualche intelligenza con il nemico. In particolare con quel senatore di Scandicci il quale, dopo aver rotto le uova nel paniere a Matteo Salvini portando il Partito Democratico all’accordo con il Cinque Stelle, si preparerebbe a realizzare un piano diabolico: lasciare il Pd e con una pattuglia di fedelissimi fondare un movimento centrista nel chiaro intento di mettere le mani sul serbatoio di voti dei moderati.

La strategia renziana, seppure modificata in alcuni aspetti tattici, non cambia, è sempre quella già tentata con il “patto del Nazareno”: togliere i voti moderati al centrodestra per portarli in dote al progetto di un centrosinistra allargato. Non è ipotizzabile che i forzisti non se ne siano accorti. Eppure continuano a preoccuparsi di non farsi fagocitare dalla Lega di Salvini quando dovrebbero temere l’Opa che il cinico Matteo Renzi sta per lanciare sull’elettorato di Forza Italia. Questo a non voler essere maligni. Già, perché c’è un’altra spiegazione dell’improvvisa crisi di diottrie che pare stia colpendo i vertici forzisti. C’è chi insinua che una parte della dirigenza di Forza Italia non aspetti altro che farsi scalare da Renzi per poter compiere senza traumi e senza pagare pegno il tragitto da destra e sinistra a suo tempo fruttuosamente sperimentato dalla berlusconiana Beatrice Lorenzin e dall’allegra compagnia alfaniana del Nuovo centrodestra. Se non dovesse essere così, se dovesse trattarsi della solita squallida calunnia, allora sarebbe bene che la dirigenza forzista fosse meno timida e più netta nel mostrare all’opinione pubblica la propria collocazione in campo. L’occasione per ritrovarsi come centrodestra c’è. È il 19 ottobre prossimo, data nella quale Matteo Salvini ha fissato una manifestazione di protesta contro il Governo. Non è un giorno scelto a caso, risponde a una logica. La mobilitazione avverrebbe una settimana prima dell’apertura delle urne per le regionali in Umbria. Il centrodestra va al voto in coalizione. Visto che il risultato è destinato ad avere un peso sul quadro politico generale, perché non palesare anche visivamente al Paese la compattezza del centrodestra?

Aggiornato il 10 settembre 2019 alle ore 10:29