Salvini: dalla Russia con amore?

Si viene presi da una quasi irresistibile voglia di scomodare l’indimenticabile Sean Connery nell’Agente 007, in questo caso “Dalla Russia con amore”, scorrendo le righe di Buzzfed a proposito del denaro di Mosca alla Lega. Tramite Gianluca Savoini che, un po’ come noi al cinema d’antan, commenta: finirà come il Russiagate. Appunto.

Intendiamoci, non bisogna mai sottovalutare una vicenda come questa tanto più se, come si è letto non più di 12 ore dopo, una Procura ha, come si dice, aperto un fascicolo. La giustizia deve seguire il suo corso, mi raccomando.

Nel frattempo, è stata praticamente ignorata la notizia della “solita” busta contenenti proiettili contro il leader della Lega nonché vicepresidente del Consiglio e, al di là di ogni ragionevole dubbio, uomo forte di questo Esecutivo a due, dove il secondo, cioè Luigi Di Maio, è tale non certo in ordine alfabetico, ma nell’altro, quello politico, ovvero delle iniziative fino ad ora (non) prese, al di là degli annunci più o meno roboanti ma di certo a forte insistenza mediatica.

Per carità, anche il collega leghista abbonda in parole, come del resto l’intero governo, per non dire di una gran parte del Parlamento se non della politica, con una Forza Italia per l’occasione muta. Probabilmente non in nome dell’antica massima a proposito del silenzio acconsenziente, ma di una oggettiva difficoltà nel seguire una story che, a quanto pare, sembra soltanto alle prime puntate.

La prudenza è d’obbligo in casi del genere, soprattutto perché non siamo al cinema e, a questo proposito, il silenzio “politico” è stato interrotto dallo stesso capogruppo al Senato Stefano Patuanelli (M5S), che ha commentato severamente che dallo stesso Salvini provenga un gesto per dir così di chiarificazione chiedendo le dimissioni o chiarimenti allo stesso Savoini su quanto è successo: “La situazione va chiarita”, ha ammesso.

È un quadro che sembra aver abbandonato il solito andirivieni di dichiarazioni tutto sommato discorsive, assumendo ora quei toni che, specialmente per il movimento di Beppe Grillo, sono una specialità allorquando ci sono di mezzo le Procure e i loro leggendari fascicoli, e poco importa se riferiti al proprio alleato a Palazzo Chigi, anzi.

Naturalmente sono quasi tramontate le proteste e le preoccupazioni riferite alla “deriva autoritaria” di Matteo Salvini, non certo perché abbia ricevuto una busta contenente proiettili, ma, semmai, nella speranza che riceva, prima o poi, quell’avviso di garanzia che è ormai diventato il suo opposto, giacché le garanzie di innocenza (fino a prova contraria, beninteso) sono state letteralmente cancellate sotto le scarpe chiodate di un giustizialismo che ha fatto bensì la storia della Prima e Seconda Repubblica, ma rischia di farla anche di quella in corso.

In questo senso, ogni sottovalutazione è fuori luogo e il richiamo alle sacrosante leggi del garantismo dovrebbe risuonare alto e forte nel poco che resta oggi della vera politica mentre, al contrario, si alzano e si diffondono le voci di coloro che si stupiscono del nuovo “clima torbido politico” nascondendo la mano con la quale hanno contribuito e contribuiscono alla sua crescita.

Il fatto è che la primazia salviniana, e non solo nel Governo Conte, e la sua indubbia capacità nel tener testa ad avversari ed alleati, è da oltre un anno sotto gli occhi di tutti ma in modo particolare ai non pochi - proprio all’interno di una maggioranza che lo stesso leader leghista ha voluto dimenticando o quasi l’alleato storico Silvio Berlusconi - che non vedevano l’ora di scovare qualche argomento “forte” per contenerne l’impeto e, comunque, per porre un freno.

Ma, soprattutto, per un controllo. Eccolo: sessantacinque milioni di dollari.

Aggiornato il 15 luglio 2019 alle ore 10:38