Sea Watch. La demonizzazione di Salvini e il nuovo piano dello scontro politico

mercoledì 10 luglio 2019


Matteo Salvini rappresenta oggi, nella sua doppia funzione di ministro dell’Interno e capo del maggiore partito, un argine ad alcune delle forme più eclatanti del disordine che pervade oggi l’Italia. La linea politica di cui Salvini è la punta istituzionale e nella quale un ruolo oggi non direttamente istituzionale ma non meno fondamentale è svolto da Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, esprime, per dirla in breve, la difesa dell’identità nazionale (ed europea, anche se la UE sembra non accorgersene o forse non vuole interessarsene). I detrattori e gli avversari politici di questa linea accusano i suoi esponenti di usare la retorica per alimentare la paura, di scatenare i bassi istinti degli italiani per trovare capri espiatori, di speculare sulla crisi economica e sull’immigrazione di massa per ottenere vantaggi elettorali, e si potrebbe continuare con un lungo elenco di insinuazioni, diffamazioni e perfino insulti. Ma da un anno e mezzo ogni tornata elettorale assegna sempre più consensi a questo orientamento, mostrando che gli italiani non condividono quelle accuse e concordano invece con le posizioni che Lega e Fratelli d’Italia continuano a sostenere nonostante le pressioni internazionali di ogni genere, le provocazioni e le trappole che gli vengono continuamente tese da partiti e media italiani avversi.

Se l’identità (sia nazionale sia europea) è l’impasto fra spirito e società, fra cultura e vita reale, allora gli squilibri nella configurazione sociale, anche nei suoi aspetti religiosi ed etnici, producono un dissesto che colpisce gli strati profondi di tale identità. Non riconoscere questo sconvolgimento significa non aver capito nulla della storia occidentale e sostenere il multiculturalismo come premessa alla cancellazione dell’identità. Di questa distruzione identitaria oggi in atto, l’immigrazione afroasiatica, islamica nella stragrande maggioranza, è l’aspetto più macroscopico e al tempo stesso uno dei veicoli più efficaci.

Chiunque e a qualsiasi livello, per proteggere ciò che resta dell’identità e salvare la possibilità della sua rinascita, si opponga a questa dissoluzione e a questa deriva immigratoria, viene immediatamente etichettato dai custodi del politicamente corretto e dagli immigrazionisti come xenofobo e razzista, per non parlare delle ingiurie personali e delle aggressioni verbali.

Ora, cosa sta facendo Salvini per arginare l’immigrazione clandestina nel nostro Paese? Porti chiusi, non ermeticamente ma almeno il più possibile. Bando alle ONG, identificate come strumento finale dell’immigrazionismo internazionale che mira, sul piano di quella che gli storici chiamano lunga durata, alla sostituzione degli europei e della loro identità tradizionale. Stretta alle erogazioni pubbliche per l’accoglienza, che oltre ad essere un grimaldello politico era diventata anche un lucroso (e spesso losco) affare per cooperative e associazioni di settore. Leggi più restrittive che consentano controllo, prevenzione e repressione dei reati commessi dagli immigrati, irregolari o richiedenti asilo, e che ne facilitino l’espulsione dal Paese. Confini terrestri sorvegliati e, secondo l’idea di Massimiliano Fedriga, presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, tutelati al confine nord-orientale da una protezione anti-clandestini che potrà avere i medesimi risultati di quelli ottenuti in Ungheria da Orbán. E poi forse, blocco navale nel Mediterraneo centro-meridionale al limite delle acque territoriali italiane. Dico forse, con un tono di auspicio, perché la proposta di Giorgia Meloni potrebbe perfettamente essere condivisa e adottata da Salvini.

Questa linea della fermezza (e della chiarezza) che reagisce a quell’incontrollata immigrazione di massa, che ha tutti i caratteri di un’invasione a piccole dosi, scatena la rivolta della sinistra, di tutti coloro che oggi fanno i buonisti e che un tempo sostenevano i guerriglieri urbani di mezza Europa, fingendo pure di non vedere o minimizzando i carcerieri ideologici dell’altra mezza, quella asfissiata dal giogo marxista-leninista.

Da qui un’aggressione contro le istituzioni a tutto campo, dentro e soprattutto fuori del Parlamento, dentro e in certa misura anche fuori dal perimetro della civile espressione della libertà di opinione, come abbiamo visto da numerosi straripamenti verbali (il termine preciso è: sproloqui) di cui quelli di Sofri e Lucia Annunziata sono i più eclatanti, anche per la caratura dei loro autori.

Ed è della catena di questo multiforme attacco che il caso Sea Watch è un anello, nemmeno più l’ultimo in ordine di tempo, perché il favoreggiamento dell’invasione prosegue molto speditamente, ma forse il più interessante da esaminare, perché contiene quasi tutti gli ingredienti ideologici della struttura retorica con la quale la sinistra, sia laica sia cattocomunista, aggredisce gli avversari identitari. Quella che in realtà è una nave pirata o più precisamente corsara, così definibile perché ha violato le leggi di uno Stato sovrano, è uno strumento di una vastissima rete immigrazionista internazionale e di una guerra politica senza quartiere, mentre viene descritto come un battello della salvezza, una sorta di imbarcazione misericordiosa e celestiale che perlustra il Mediterraneo centrale per soccorrere naufraghi. Se si tratta dunque di una nave angelica, per definizione essa contiene tutte le virtù e tutte le bontà umane, e di conseguenza chi la ostacola rappresenta il contrario delle virtù e delle bontà. È il solito schema, visto almeno dai tempi di Beria (lo Himmler comunista), logoro e più volte smascherato, che però continua ad avere successo, anche se sempre minore. Gli immigrazionisti difendono l’umanità, gli identitari (quelli anti-immigrazione e anti-comunisti) la oltraggiano e la minacciano. E quindi: da una parte l’umanitarismo, la difesa dei diritti umani, la protezione dei deboli, il terzomondismo come risposta alla globalizzazione, il risarcimento europeo ai Paesi schiavizzati e l’espiazione di immaginarie colpe degli europei verso il terzo mondo, l’egualitarismo sociale che diventa anche indifferentismo culturale e religioso, il redistribuzionismo come principio economico e come diffusione della povertà (un paradosso, coerente però con la cattocomunista “opzione preferenziale per i poveri”), il superamento delle frontiere viste come barriere fra i popoli e ostacoli al dialogo, l’eliminazione delle nazioni e soprattutto l’estirpazione della loro idea e la cancellazione dell’idea di patria, l’elogio del multiculturalismo e del meticciato universale come fondamenti di una società egualitaristicamente totalitaria, la giusta arroganza derivante dalla presunzione di infallibilità che la sinistra in tutte le sue forme continua ad avere e a lanciare come un nuovo vangelo contro gli avversari. E dall’altra parte l’opposto di tutto ciò.

Strano che, in questo parossismo ideologico e in questo crescente senso di onnipotenza, a nessuno sia venuto in mente di paragonare il comandante Carola ad Antigone: leggi morali contro leggi statali. È un’analogia assurda, insostenibile nei contenuti e che farebbe torto alla grandezza morale della figlia di Edipo, ma in questi ultimi anni, quando si è trattato di aggredire Lega e Fratelli d’Italia, la sinistra ha superato ogni limite di decenza, di delirio e di malafede.

Ho detto “quasi” tutti gli ingredienti, perché ne mancava uno, classico nella tradizione demagogico-denigratrice della sinistra, l’accusa di antisemitismo. Ora un brillante ma ideologicamente imbevuto giornalista italiano ha deciso di colmare la lacuna e, in questo modo, ha iniziato a spostare i termini dell’attacco, già violentissimo, contro Salvini (e indirettamente anche contro Meloni). In una puntata della trasmissione che conduce su RAI 3, questo giornalista ha insinuato che accanto alla presunta xenofobia e al presunto razzismo con cui Salvini (come pure chi sostiene la medesima posizione) affronterebbe la questione immigratoria vi sia anche qualcosa di non immediatamente visibile, un non detto, tale forse perché indicibile, implicato in quel supposto razzismo: l’antisemitismo. Accuse velate, allusioni, illazioni che instillano il dubbio, per una sorta di analogia del crimine mutuata in modo abbietto dal nazismo: non sarà che la difesa dell’identità e della sicurezza nazionale cela anche una tendenza antisemita tipica del nazionalsocialismo? Certo, viene precisato, Salvini non è nazista e, all’apparenza, nemmeno antisemita, ma, si sa, l’apparenza può ingannare. Ecco, perciò, si osservino con attenzione alcuni sintomi: per esempio, l’ostilità verso il magnate Soros, accusato di foraggiare le ONG che favoriscono l’immigrazione, non sarà forse l’indizio di un occulto antisemitismo?

Ma inoculare il dubbio non significa fornire prove. Infatti, queste insinuazioni sono del tutto false e, non so nelle intenzioni ma certamente quanto all’esito, diffamatorie, perché infondate e quindi pretestuose. Il liberalconservatorismo e l’azione politica ad esso ispirata (sovranismo incluso) sono non soltanto avversi a qualsiasi forma di antisemitismo, ma anche promotori di qualsiasi iniziativa che lo denunci e lo stronchi. Di più: il liberalconservatorismo di Lega e Fratelli d’Italia è l’unico antidoto all’infezione antisemita. Mostrato il vero volto di questo grande movimento di pensiero e di popolo che è il liberalconservatorismo italiano, smontiamo ora la velata accusa, dimostrandone la falsità.

Da tutti coloro che si oppongono all’invasione (e a tutto ciò che la precede e che ne consegue, sia dal punto di vista teorico sia da quello pragmatico), il finanziere George Soros viene giustamente criticato per il suo dichiarato sostegno alle organizzazioni immigrazioniste, ma il fatto che egli sia di origine ebraica è qui un fatto non rilevante: chi vuole unire i due aspetti (immigrazionista ed ebreo) può essere un neonazista, uno sciocco integrale oppure uno scaltro e strumentale immigrazionista che vuole far passare da nazionalsocialista chi invece non ha nulla a che fare né con quella ideologia né con l’antisemitismo e sostiene l’anti-immigrazionismo perché vuole difendere l’identità europea a partire dalle sue radici ebraico-cristiane. Sì, le radici ebraico-cristiane come connotazione non solo religiosa ma anche sociale dell’identità europea attuale.

L’antisemitismo è totalmente estraneo al liberalconservatorismo attuale, a quel contenitore in cui le varie forme dell’identitarismo sono oggi inserite, anzi: la denuncia di insorgenze antisemite e la difesa dello Stato di Israele sono tra i princìpi fondamentali di questo movimento teorico-politico. In Europa, l’antisemitismo oggi si annida nei gruppi neonazisti, per altro circoscritti e ben controllati dagli apparati di sicurezza (come si vede anche dalle cronache più recenti); prolifera negli ambienti islamici, sia in quelli radicalizzati sia, in forma più sfumata, all’interno del popolo delle moschee e in generale nelle comunità musulmane; e cresce in quella variegata sinistra più o meno radicale che promuove il boicottaggio economico e scientifico contro Israele e che sottace l’esistenza e la pericolosità dell’antisemitismo islamico. Questo è il quadro, al di là delle elucubrazioni sofistiche e delle volgari calunnie.

Chi nega questa realtà difende quella sinistra e incorre nell’errore più ingiusto, quello cioè di strumentalizzare l’antisemitismo, perché occulta ciò che scrisse Fiamma Nirenstein una decina d’anni fa nel libro Gli antisemiti progressisti: “la sinistra si è dimostra la vera culla dell’attuale antisemitismo”, dell’antisemitismo legato “alla criminalizzazione, agli stereotipi e alle menzogne specifiche o generiche”, a schemi praticati oggi “dai movimenti liberal del nostro tempo, dalle Ong, dai partiti di sinistra, dai pacifisti”. Ma per capire quella che Nirenstein definisce “la forma nuova di un odio antico”, c’è bisogno di uno sguardo lungo e aperto, che non sia al servizio di una ideologia totalitaria, antioccidentale e filocomunista, multiculturalistica e anti-israeliana.

Le analisi di Fiamma Nirenstein, di Pierre-André Taguieff o di Shmuel Trigano, per citare solo alcuni esempi, spiegano in modo incontrovertibile il dilagare dell’antisemitismo a sinistra. Perciò, chi vuole – giustamente – denunciare concetti, teorie o atti antisemiti, deve guardare a sinistra, non dentro la destra liberale, in quel liberalconservatorismo che difende l’identità europea e che perciò, fra gli altri obiettivi, vuole bloccare l’invasione per immigrazione, difendendo in questo modo, come parte fondamentale della nostra identità, gli ebrei, europei e israeliani.


di Renato Cristin