Caso Palamara: così fan tutti (e anche peggio)

martedì 9 luglio 2019


Ecco, dunque, il caso Palamara, che, oramai, se proprio deve portare il nome di un singolo, sarebbe il caso di chiamare il caso Fuzio. Se, invece che ai personaggi ed interpreti dobbiamo badare alla sostanza (o a quello che, allo stato, è l’apparenza dei fatti) dovremmo parlare di “scoperta dell’acqua calda”. Che per le nomine ai posti più ambiti ed importanti della Magistratura si procedesse senza tutto quello che si pretende di definire il “caso” Palamara potevano crederci solo quelli che credono anche alla Befana. E nemmeno tutti.

Mettete nello stesso mazzo l’autogoverno della Magistratura, l’automatismo delle carriere ma non, ovviamente, della destinazione ai singoli posti direttivi, l’esistenza di un “governo parallelo”, l’Anm della Magistratura (e di quella scalpitante in particolare) e, poi, la divisione regolarmente tracciata in “correnti”, da cui dipende l’assegnazione delle cariche sociali della detta Anm, ed avrete il quadro completo di quello che significa “autogoverno” della Magistratura, nonché dell’impossibilità che esso funzioni come solo gli ingenui patentati hanno ritenuto o i meno ingenui hanno fatto finta di credere che funzionasse.

Del resto, casi di aperto e manifesto spregio di ogni regola non solo del cosiddetto autogoverno, ma anche del buon gusto e di quel minimo di onestà di cui rimangono tracce in fondo al barile si sono verificati sotto gli occhi di tutti con un’insistenza ed arroganza altrove inimmaginabili. Parlo, ad esempio, per fortuna forse unico, della bagarre dei tifosi del “Falcone vivo”, dell’eroico “condannato a morte” (chi sa poi perché dal fu Totò Riina, con proclamazione “all’orecchio” delle guardie carcerarie), del “cittadino di cento città”, tale, proprio al fine evidente della “promozione”, al “posto” di Roma, proclamato tale sempre ad iniziativa dei consiglieri 5 stelle. Parlo del dottor Nino De Matteo.

Certo, nel “caso Palamara” (il preteso caso) ci sarebbe stata quella vacanza pagata non so bene da chi, dunque non solo abuso ma anche corruzione. Facciamo finta di credere che si tratti proprio di un’eccezione. Ma, caso o abitudine, è certo che l’autogoverno, la decisione sulle nomine dei posti più ambiti della Magistratura, giudicante o requirente, troppo spesso e troppo evidentemente sbagliando, confusa con l’indipendenza, è un sistema fallito. È difficile, oramai, sostenere il contrario. Ed intanto, c’è una brutta ed ipocrita confusione quella che si fa tra indipendenza dei giudici ed indipendenza della Magistratura.

Indipendenza dei giudici o significa “dei singoli giudici”, dei singoli magistrati, oppure non significa nulla. Anzi, peggio del nulla. Un giudice “dipendente” dalla Associazione magistrati o, peggio dalle “correnti” di essa cui è iscritto è pericoloso al pari e peggio di uno che dipenda, che so, dal prefetto o dal capo della Polizia. Parlare, non potendo del resto aspettarci che parlasse diversamente, come ha fatto e fa il presidente della Repubblica di una “questione morale” è, dunque sicuramente troppo poco.

Se agli avvenimenti di questi giorni si volesse, come sembra volersi fare, rimediare con una “elezione suppletiva” dei dimissionari del Csm e con un provvedimento disciplinare anche assai pesante nei confronti del singolo dottor Palamara e con le solite espressioni di fiducia sulla correttezza morale di tutti gli altri magistrati, potremo dire addio una volta per tutte alle nostre speranze per le libere istituzioni. Succederanno ai Palamara, chissà, magari dei Di Matteo. Dalla padella alla brace. Il nostro Paese, con tutte le sue deficienze e le sue colpe non merita anche questo. Non lo meritiamo. Ma mostriamo proprio, talvolta, di meritarle.


di Mauro Mellini