Il Liberalismo? Obsoleto, parola di Putin

lunedì 8 luglio 2019


I politicanti si preoccupano del consenso, gli statisti di costruire il futuro decodificando i segni che il presente rilascia o, per dirla con l’Hegel citato da Corrado Ocone, cercando “di apprendere il proprio tempo col pensiero”.

Vladimir Putin appartiene alla seconda categoria, quella degli statisti. Lo dimostra l’intervista concessa al Financial Times nella quale il leader russo parla del pensiero liberale. Il punto chiave della critica di Putin al liberalismo si focalizza sull’essere quest’ultimo uno strumento obsoleto, inadeguato a soddisfare i bisogni della maggioranza della popolazione con la quale è entrato in conflitto d’interessi. Per il leader russo, “l’idea liberale ha superato il proprio obiettivo iniziale nel momento in cui la popolazione si è espressa contro l’immigrazione, i confini aperti e il multiculturalismo”. Ha ragione il capo della Federazione Russa?

Dino Cofrancesco, dalle colonne de “Il Dubbio”, è molto severo con Putin. Scrive Cofrancesco: “Il suo Paese, nonostante il revival religioso post-1991, vive immerso in una cultura “atea” dove solo Mammona è oggetto di culto, gli oligarchi mostrano un tenore di vita sfrontato, la corruzione è dilagante a riprova che sulle rovine dell’ideologia marxista di Stato è difficile ricostituire un tessuto di valori collettivi”. Con un’economia a crescita zero e una costante diminuzione dei redditi che abbatte il potere d’acquisto delle fasce medie e basse della popolazione, Putin non avrebbe le carte in regola per proporre modelli alternativi praticabili. Tuttavia, nell’analisi di Cofrancesco, i detrattori del paradigma putiniano dovrebbero mostrarsi meno superficiali nel valutare alcuni aspetti dell’analisi incontrovertibilmente veritieri. Non è demonizzando le “paure” delle persone che si risolve la crisi di senso dell’Occidente di questo tempo storico. Perché, come bene spiega Cofrancesco, “le paure sono interessi e valori e gli interessi e i valori (quando non ledono principi iscritti nelle Costituzioni) stanno tutti sullo stesso piano”. Ciò dà ragione all’approccio politico individuato dalle forze populiste alla crisi dello Zeitgeist, lo Spirito del Tempo.

Gli “avversari superficiali” di cui Bernard Guetta per Cofrancesco sarebbe il prototipo, invece, sono rimasti fermi all’interpretazione della crisi mediante l’evocazione delle tre paure profonde delle masse: “Quelle dei più deboli e degli immigrati, dell’erosione del patriarcato e del venir meno della tutela sociale da parte dello Stato”. Dal versante liberale, si fatica a comprendere che la ripresa di un’efficace politica di tutela sociale delle classi deboli non è statalismo sprecone ma la giusta risposta, dopo anni di crisi economica che ha comportato perdita d’identità, a un’istanza diffusa di protezione comunitaria dagli effetti dell’immiserimento materiale e spirituale, portato della globalizzazione.

Sulla critica del liberalismo di Putin è intervenuto anche Giovanni Orsina con un articolo pubblicato da “La Stampa” ieri l’altro. Per lo storico e politologo della Luiss, il focus si sposta dal giudizio che il leader russo dà del liberalismo alle ricadute che tale valutazione ha, o può avere, sui populisti e sovranisti europei dichiaratisi amici e sostenitori, o semplicemente affini, dell’ideologia putiniana. Riguardo all’Italia, si domanda Orsina se salvinismo e grillismo, in quanto prodotti della crisi del liberalismo strumento ideologico dell’egemonia occidentale, abbiano la medesima radice del putinismo o se siano solo destinati a convergere con esso. La questione, come avverte lo stesso proponente, è complessa. Bisogna andarci piano a sovrapporre modelli politici e sociali senza tenere in debita considerazione i contesti ai quali tali modelli verrebbero destinati. Un conto è criticare il liberalismo dichiarando di poterne fare a meno in un Paese, la Russia, che da sempre ha scarsa dimestichezza con la democrazia e non ha mai abbandonato l’antica vocazione imperiale, altro conto è muovere l’attacco dall’interno del perimetro della civiltà occidentale. Chiosa Orsina: “In Occidente le reazioni alla crisi del liberalismo si sono mantenute finora entro confini liberali, e non sappiamo ancora se siano destinate a evolvere nell’illiberalismo o a portarci verso un nuovo equilibrio liberale”.

Nell’attesa si consiglia cautela. Ma fino a un certo punto, perché il dilemma col quale presto o tardi si troverà a fare i conti la Lega di Matteo Salvini, la quale non è un prodotto del liberalismo ma lo specchio della globalizzazione nelle sue contraddittorie fasi, non è questione di pura accademia ma richiama decisioni politiche e strategie nelle alleanze tutt’altro che astratte. Come dimostra l’azione di governo pentaleghista, convergente sull’adesione a politiche economiche espansive sul fronte della spesa sociale, in totale opposizione alle visioni rigoriste sui conti pubblici propugnate in Europa da tutti i partiti che fanno esplicito rimando alla matrice liberale. Ugualmente sulle politiche migratorie, la critica radicale alla libertà di spostamento di grandi masse di esseri umani da aree geografiche ad altre del pianeta, asseverata al corredo ideologico del liberismo di ultimo conio, è il punto di snodo identitario dei sovranismi nella lotta alla globalizzazione.

Ora, se Salvini, in linea con il pensiero di Putin, nega l’approccio liberale alla costruzione del futuro della società, può verosimilmente accettare di costituire coalizioni politiche che abbiano al proprio interno gruppi o partiti connessi a quegli ideali? Il dibattito aperto in questi giorni sulle parole di Putin finisce per ripercuotersi sulla natura della forza politica salviniana e sulla sua capacità di costruzione di alleanze con movimenti politici espressione del liberalismo. Per ritornare in quota, non si può non citare il punto di vista di Corrado Ocone, espresso in un articolo su Formiche.net. Ancora una volta concordiamo con la sua analisi. Ciò che è andato in crisi, scrive Ocone, è il dispositivo liberal-liberista. Ora, la domanda è: liberismo economico e visione liberale sono la medesima cosa? A riguardo non possiamo rispondere che no, che solo una gran confusione valoriale ha potuto generare commistioni perniciose. Esiste un liberalismo politico che ha avuto la grave colpa di accettare un ruolo ancillare rispetto alla sua declinazione in chiave “mercatista”. La globalizzazione nel suo diffondersi ha fatto a meno del corredo culturale e filosofico del quale era portatore il liberalismo storico per abbracciare forme contaminanti di pensiero maggiormente in linea con i fattori espansivi del mercato unico globale, del turbo-capitalismo e della finanza transfrontaliera, come il multiculturalismo. La dimensione nazionale/ statuale, che è stata propria del pensiero liberale tradizionale, è stata soppiantata dalla costruzione di entità sovraordinate agli Stati, coerenti con la necessità di sostenere e favorire la ramificazione dell’economia globalizzata. Per Ocone, “la critica di Putin coglie perciò nel segno, ma solo se si riferisce ad una declinazione utopistica e metafisica del pensiero liberale”.

Esiste un problema di attualizzazione di un’idea liberale di Stato e di società che deve essere emendata, ma che certamente non merita di finire in soffitta per fare spazio a forme rivisitate del principio totalitario nell’ambito della dottrina dello Stato. Non sarebbe una novità, ma un déjà vu. Abbiamo già visto cosa accade quando si giunge alla convinzione che il liberalismo sia morto e forme egemoniche alternative si facciano largo nel divenire della Storia. Lo scorso secolo è finita malissimo. Risparmiamoci il bis.


di Cristofaro Sola