Se il Governo a due è a uno, giudici a latere

Il fatto abbastanza sottovalutato in questi mesi (quasi un anno) di nuovo governo è la sua per dir così commutazione: da due a uno. Mi spiego: l’opzione di Matteo Salvini di abbandonare al suo destino l’alleata Forza Italia non era e non è oggettivamente ispirata da una qualsiasi voluttà di punizione, tanto più che con FI sono numerose le giunte, le amministrazioni e gli enti che stanno insieme. Semmai, come vedremo, la compagnia a due è servita e servirà ancora alla Lega salviniana non soltanto in virtù di un potere in comune, ma per utilizzarlo soprattutto per rafforzarsi, per crescere, per espandersi.

Tanto da rendere sempre più spasmodica (politicamente) l’attesa mediatica del cosiddetto leghismo meridionale alla prova di elezioni che sembrano sempre dietro l’angolo, e invece…

Invece la tenuta governativa è sotto gli occhi di tutti, al di là delle quotidiane riffe e dei quotidiani dissensi, ben presto riassorbiti anche e soprattutto grazie alla buona tenuta economica di un Paese in cui i dati relativi sono confortanti tanto più se si riflette sulla mai nascosta antipatia (siamo buoni…) salviniana per l’Ue dalla quale, peraltro, giungono approvazioni e consensi non fosse altro perché l’Italia è immersa bensì nel Mediterraneo con la Libia che preme, ma nuota fino ad ora con buone bracciate nell’altro mare, quello composto di quasi un trentina di nazioni.

Va detto e ripetuto che l’astuzia salviniana, al di là della sua programmatica lotta all’immigrazione, non è consistita soltanto nella scelta coi pentastellati, ma nella composizione stessa di un governo a capo del quale il suo presidente, forse per educazione innata e più probabilmente per un semplice calcolo, non numerico, conosce le regole del comportamento in realtà più rappresentativo che politico, funzione quest’ultima alla quale la delega in toto è lasciata al vicepresidente leghista. E Luigi Di Maio?

È fin troppo facile sommare critiche a critiche a un vicepresidente del Consiglio nonché leader del Movimento 5 Stelle che, lasciate le tribune urlanti di un grillismo contro tutto e contro tutti, urla in virtù delle quali ha fatto il pieno di voti ma che non potevano e non possono essere di alcuna utilità concreta, cioè politica, nell’esercizio di un potere esecutivo che riguarda una delle prime potenze europee della quale proprio i grillini dipingevano la triste sorte, presente e futura, colpevolizzando gli altri, Lega compresa per non dire del Pd e della stessa FI; quest’ultima da mesi, ormai, in penombra se non in disattivazione nell’italica Polis.

Ora, invece, il M5S è costretto a fare i conti con la quotidianità, pensando non solo alle problematiche interne facendo proprio quello che Salvini chiama “interesse nazionale”, ma fissando il quadro europeo nel quale, ad ogni buon conto, ha prevalso l’antipatia salviniana di cui sopra, tanto che il Governo Conte ha da subito antipatizzato col duo franco-tedesco puntando gli occhi più a est che a ovest, in cerca di nuove alleanze e triangolazioni diverse ovvero con i Paesi di Visegrád e con i movimenti euroscettici di altri Paesi con l’ansia, non tanto nascosta, di un diverso riposizionamento in Europa.

Il che conferma, se mai ce ne fosse bisogno, la presenza-pressione della mano salviniana che sta stringendo in queste ore, quasi come in un abbraccio, quella di Vladimir Putin ospite dell’Italia. E i fatti, le soluzioni, le riforme, i propositi che specialmente dalla bocca grillina uscivano per gettarsi ai quattro venti mediatici? I venti sono cessati con l’accesso al governo dove, a quanto pare, non basta affatto la quiete dopo la tempesta, ma il suo utilizzo in funzione della realizzazione dei problemi di cui il gran parlare di prima sta diventando oggi lo spunto di grandi critiche proprio per la sua mancata traduzione non soltanto nel fare ma nel fatto. L’intoccabilità giudiziaria grillina, a sentire i soliti maligni, è dovuta anche e soprattutto alla loro per dir così staticità, da non confondersi con la fermezza ma proprio con lo stare fermi rispetto al da farsi, che è tanto, ma, come dice la massima: fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Quel mare dal quale arriva quotidianamente sulle nostre coste quel carico disperato di gente in fuga, di africani, di clandestini su cui la solidarietà non può mai essere disgiunta dalla consapevolezza che un problema epocale del genere avrebbe bisogno di solidarietà fra le nazioni, soprattutto europee, che fino ad ora ne hanno dimostrata poco o punto.

E Salvini, che dell’immigrazione clandestina ha fatto il suo cavallo di battaglia alle elezioni, non poteva, non può e non potrà restare, come si dice, con le mani in mano, e lotta. Una lotta, peraltro, in funzione della quale ha preso e prenderà iniziative e decisioni che hanno suscitato fino ad ora popolarità e consensi. Ma su una strada con ostacoli frequenti e pure sgradevoli, e pure in presenza di sue reazioni non sempre composte, quasi mai ispirate al leggendario politique d’abord, ovvero al politicamente corretto. Su questa strada, come si sta vedendo da qualche tempo, gli intralci provengono e proverranno da una certa magistratura e da certi procuratori e giudici che applicano e applicheranno leggi in nome delle cosiddette norme internazionali o per una lettura “costituzionalmente orientata”.

Governare da solo per qualcuno è un sogno, per altri non è del tutto impossibile, ma sempre e solo in teoria. Specialmente in Italia con lo iudex sempre vigile. E a latere.

Aggiornato il 08 luglio 2019 alle ore 10:51