Indipendenza e magistrati

Sono assolutamente d’accordo con chi sostiene che le scomposte reazioni al provvedimento del giudice agrigentino pongano un serio problema circa la protezione da assicurare all’indipendenza dei magistrati. In un Paese civile, non è tollerabile che i cittadini manifestino il loro dissenso verso le decisioni giudiziarie con aggressioni verbali alla persona di chi le ha scritte. Detto questo - liberato il campo dalle banalità - proviamo a ragionare seriamente sulla questione.

Proviamo, cioè, ad ipotizzare che i provvedimenti sgraditi siano percepiti come espressione di orientamento politico, più che di rigorosa analisi giuridica. Percezione, questa, agevolata dal fatto che - si sa - il diritto si presta a manipolazioni di questo genere. È inevitabile, in questa prospettiva, che il solo sospetto che le cose stiano davvero così rappresenta un fattore di rischio al quale consegue il giudizio negativo sulla persona del magistrato, o sull’intera categoria. E viceversa.

Fermiamoci un istante. La Corte costituzionale, occupandosi di terzietà del Giudice, ha sottolineato che lo stesso non deve soltanto essere imparziale. Deve anche apparire imparziale. Vedete un po’ quanto rileva l’immagine sulla quale si fonda la fiducia di cui parla la legge.

Messa in questi termini, la questione è più complicata di quanto non sembri. Per proteggere l’indipendenza dei magistrati non è sufficiente predisporre un cordone sanitario a tutela delle loro decisioni e delle loro persone; bisogna, prima di tutto, creare le condizioni (ed esigere che i magistrati le rispettino) affinché il valore dell’indipendenza (che protegge noi, prima di loro) sia saldamente assicurato.

Oggi non è così e non lo è da troppo tempo. I magistrati sostengono di essere cittadini come gli altri. Questo è solo parzialmente vero, visto che sono gli unici cittadini a disporre del potere di privare le persone della libertà, di incarcerare chiunque. I magistrati vogliono esprimere pubblicamente le loro opinioni, scendendo nell’agone politico, senza pagarne il prezzo. I magistrati ripetono di essere i monopolisti della nomofilachia (interpretazione della legge) e si spingono fino alla manipolazione dei testi, sostituendosi addirittura al legislatore.

Non parlo di quanto emerge in questi giorni sulle trattative per l’assegnazione degli incarichi più “sensibili”. Non ne parlo: parlano i fatti.

Dopo tutto questo, i magistrati vogliono farci credere di essere indipendenti? Sembrano davvero indipendenti? Possibile che a nessuno venga in mente di dire che quanto sta accadendo è il risultato di ciò che è accaduto dagli anni Settanta in poi, vale a dire da quando fu teorizzata la via giudiziaria alla conquista del potere? Ecco perché gli stupidi che offendono i magistrati sono nel torto: mostrano mancanza di educazione e insipienza. Ma soprattutto fanno il gioco di chi ha tutto l’interesse a mantenere le cose così come sono. Cioè, male, anzi: malissimo.

Aggiornato il 08 luglio 2019 alle ore 10:51