La politica dei rattoppi

Dunque, a meno di clamorosi ripensamenti dell’ultimo momento, l’Unione europea sembra pronta a non far scattare la procedura d’infrazione per eccesso di debito nei confronti dell’Italia, almeno per l’anno in corso. Mentre, occorre doverosamente precisare, la questione per il 2020, con l’enorme spada di Damocle di ben 23 miliardi di clausole di salvaguardia che incombono sulla nostra testa, è tutta da vedere.

In estrema sintesi, malgrado la propaganda giallo-verde si sforzasse nelle ultime settimane di dimostrare il contrario, il Governo ha dovuto mettere in piedi in quattro e quattr’otto una manovrina correttiva di alcuni miliardi, più o meno 7,5, con la quale tacitare i dubbi crescenti dei partner comunitari in merito alla tenuta dei nostri conti pubblici. Un fritto misto di provvedimenti estemporanei, molto lontani pertanto dalle misure strutturali consigliate dall’Europa, che somigliano maledettamente a quelle tristissime toppe le quali, come a accade a chi amministra la cosa pubblica con poco senso di responsabilità, nel tempo finiscono inevitabilmente per essere peggiori del buco, come si suol dire.

In soldoni, il grosso del modesto aggiustamento realizzato dai geni al potere è basato sui risparmi previsti da Quota 100 e dal Reddito di cittadinanza. Ovvero i cardini di quella tanto decantata linea espansiva che avrebbe dovuto, secondo una trionfalistica espressione del premier Giuseppe Conte, farci passare un 2019 bellissimo. Inoltre, raschiando il barile delle pubbliche risorse, si è fatto man bassa dei dividendi delle aziende controllate dallo Stato, permettendo al Tesoro di incassare circa 2,5 miliardi di euro.

Comunque sia si tratta di provvedimenti tampone, dall’evidente carattere straordinario, che sarà complicato riproporre su scala ben maggiore il prossimo anno, onde evitare che il disavanzo si attesti ad un livello molto pericoloso, soprattutto per un Paese con alto debito e praticamente a crescita zero, se non peggio.

In questo senso, l’idea di rilanciare la posta promettendo un taglio delle tasse costi quel che costi, così come ha ribadito in questi giorni il leghista Giancarlo Giorgetti, considerato da molti il numero due del Carroccio, è qualcosa che sembra travalicare di parecchio i confini della realtà. O forse, visto che non si può governare per troppo tempo a colpi di bluff – perché di questo si tratta, visto che non esiste lo spazio fiscale per procedere ad un robusto abbattimento delle imposte – ciò è solo un modo per mettere le mani avanti in previsione di elezioni anticipate.

Altrimenti, come mi trovo a ripetere da tempo, le due forze di maggioranza saranno costrette ad intestarsi, con pari responsabilità, una prossima manovra di Bilancio che si prospetta alquanto dolorosa. Nel qual caso Matteo Salvini e Luigi Di Maio non potranno disertare il relativo Consiglio dei ministri, così come hanno fatto in quello in cui si è deciso la citata manovrina di aggiustamento, ma dovranno per forza metterci la faccia.

Aggiornato il 03 luglio 2019 alle ore 10:59