Reggio Emilia: la banda del Kidnapping organizzata

Non è un crimine nuovo. Quando ero deputato denunciai con una dettagliata interrogazione parlamentare il ripetersi, guarda caso nel distretto del Tribunale dei minori di Bologna, di cui fa parte Reggio, di casi di mostruosi provvedimenti di privare i genitori dei loro diritti-doveri verso i figli, sollecitati da stramberie di cosiddetti servizi sociali. Oggi non si tratta più, però delle solite stramberie di una giustizia ingiusta, comunque terribile, data la materia, ma di una industria. È l’industria della falsificazione delle condizioni di pericolosità per i bambini dell’ambiente famigliare, con la conseguente sottrazione e ricovero in un Istituto e la “disponibilità” per una vera e propria “vendita” a coppie richiedenti l’affidamento e l’adozione. Particolari orribili che vorremmo fossero frutto di fantasia falsificatrice, sono stati resi noti dalla stampa: falsi disegni che dovrebbero dimostrare abusi sessuali subiti da quei bambini e cose del genere.

I casi di cui dovetti occuparmi allora non apparivano dovuti ad un’organizzazione del mercato delle adozioni, ma solo all’imbecillità dei cosiddetti servizi sociali. Ma la sostanziale accettazione di rapporti inverosimilmente cretini da parte della Magistratura poneva in essere quella che anche oggi è la conclusione di una così mostruosa disfunzione dei pubblici poteri: i provvedimenti dei magistrati. Nessun provvedimento prese allora l’Autorità ministeriale, trincerandosi dietro la solita “indipendenza della Magistratura” che era poi, nei casi da me denunziati, indipendenza delle incapacità o imbecillità di quella del Tribunale dei minori.

Il caso più clamoroso era questo. Un bambino, giuocando a pallone nel cortile di casa, aveva fatto finire il detto pallone nel balcone di un condomino. Per recuperare il giocattolo il maschietto si era arrampicato fino al balcone, dove, era stato sorpreso dall’inquilino dell’appartamento che, inviperito, aveva, nientemeno, sporto querela per “violazione di domicilio”. Richiesto, secondo le norme e la prassi, un rapporto del servizio sociale sulle condizioni di vita del “criminale”, in esso si affermava che quella ascesa al balcone era espressione di una repressa “voglia di evadere”, di liberarsi. Da che cosa? Dalla “evidente” oppressione paterna. Il padre del vispo ragazzetto, orfano di madre, era, infatti, nientemeno che un maresciallo dei Carabinieri, il quale, “evidentemente” aveva cercato di imporre al pargolo un’educazione troppo rigida, militaresca, “evidentemente” inadatta all’età.

Tutto sulla base di simili presunzioni nascenti dal fatto “incontestabile” che il padre era un maresciallo dell’Arma. Proposta: sottrarre il minore alla “pericolosa” patria potestà del maresciallo ed affidarlo ad un istituto. Il Tribunale dei minori, invece di richiedere d’urgenza che l’estensore di quel capolavoro di imbecillità fosse licenziato o, almeno, destinato alle pulizie dei gabinetti, dichiarò “parzialmente condivisibile” le motivazioni del rapporto, disponendo che il “presumibilmente” troppo severo e militaresco genitore potesse continuare ad esercitare la patria potestà, ma sotto il controllo dei più imbecilli degli stessi giudici, cioè dei servizi sociali.

La risposta alla mia interrogazione fu però imbecille quasi quanto i protagonisti di quello scempio. Il sottosegretario alla Giustizia, leggendo la risposta preparata dai funzionari del ministero (che sono tutti magistrati!) ripeté puntualmente i fatti proprio come da me esposti. E concluse: “il provvedimento del Tribunale dei minori è impugnabile nei modi di legge”. Come dire: “A me che me ne frega? Veditela tu”. Ma così offendendomi personalmente, volendo nientemeno dar lezione di una banale nozione di procedura civile a me avvocato. Replicai per le rime, ma non abbastanza da farmi, come sarebbe stato opportuno, cacciare dall’Aula.

Storia di ordinaria banale stupidità? Quando si tratta di funzionari dei pubblici poteri e di questioni della cosa pubblica la stupidità non è mai banale. È tragica. L’orrendo mercanteggiamento di Reggio Emilia di oggi è frutto anche, e soprattutto, di quel fare spallucce di fronte alla denunzia di fatti del genere “per rispetto all’indipendenza dei giudici”. Tanto più quando il problema è rappresentato anche dalla loro imbecillità, o peggio, dal fare spallucce a loro volta.

Aggiornato il 02 luglio 2019 alle ore 12:21