Ci sono almeno due ragioni per respingere il maldestro tentativo di comparazione tra le gesta di Antigone e la scelta di Carola Rackete. Due ragioni che i cultori del diritto dovrebbero conoscere e tenere in considerazione prima di cedere alla romantica tentazione di rivestire con i panni dell’eroina sofoclea il comandante della nave approdata a Lampedusa.

La prima ragione è nella natura dell’ordine trasgredito, che, nel caso di Antigone, si identifica con la volontà di un tiranno, mentre, in quello di Carola, è nella lettera della legge di una repubblica democratica. È una differenza decisiva, che non può essere cancellata con il richiamo al diritto alla disobbedienza, essendo evidente che una cosa è opporsi all’imperio fondato sull’arbitrio e altra cosa è sfidare un comando sul quale si fonda l’intera comunità nazionale e che vincola al suo rispetto anche chi governa.

La seconda. La legge non è un elastico la cui validità dipende dal giudizio di sceglie di violarla, ma una prescrizione la cui osservanza assoggetta anche i giudici, i quali sono sì indipendenti, ma pur sempre sottoposti alla legge.

Il guanto di sfida, fatta eccezione per i casi estremi, è un vero e proprio gesto di ribellione che genera conseguenze. Pensateci: la nave non stava affondando; nessuno era in pericolo di vita; c’erano alternative. La negazione di tutto questo fa di Carola una temeraria, non un’eroina.

Eroina, se proprio vogliamo dirla tutta, appare agli occhi di chi, in tutti questi giorni, non ha voluto sentire ragioni, contestando in radice non già il diritto di respingere la nave, ma l’efficacia di una legge dello Stato.

Certo, mi sarebbe piaciuta maggiore compostezza anche da questa parte; avrei preferito un maggiore aplomb. Ma la sostanza non cambia: la legge è sempre lì, materializzata in una vedetta della Guardia di Finanza che tenta di assicurarne il rispetto. Possiamo usare tutte le parole che vogliamo; possiamo dire che disobbedienza civile è bene ed il resto è male; possiamo, anche, rispolverare la formula di Radbruch. Possiamo tutto, ma la legge resta lì, a segnare un limite i cui contenuti magari non ci piacciono, e i cui limiti non possono e non devono essere superati.

Aggiornato il 01 luglio 2019 alle ore 10:53