Sea Watch: dura lex, sed lex

lunedì 1 luglio 2019


Sull’epilogo della vicenda Sea-Watch il solito circo mediatico, mobilitato in soccorso dei buonisti della sinistra multiculturalista, neanche ha cominciato il processo (sommario) al ministro dell’Interno che già si preoccupa di alzare la forca dalla quale farlo penzolare.

Già, perché nella visione alterata della realtà, caratteristica degli umanisti d’accatto (la definizione, che ci piace molto, è di Franco Carinci su “Atlantico”) chi va condannato tra Matteo Salvini e la “capitana” della nave è il primo e non la seconda. Per Carola Rackete sarebbe pronto un processo di beatificazione in tempi record. Nel tempo storico delle castronerie ad libitum, la sinistra si è inventata l’idiozia della novella Antigone per giustificare l’ingiustificabile. La signora Rackete ha ignorato tutte le diffide notificatele dalle autorità italiane a non violare la legge. E se ne è infischiata. Ha agito forzando la mano a tutti. Ha aggredito la pilotina della Guardia di finanza che l’affiancava per impedirle l’attracco al molo nel porto di Lampedusa. La signora Rackete ha tirato dritto speronando l’imbarcazione. Se non c’è scappato il morto è stato grazie all’abilità del timoniere della pilotina della Finanza che è riuscito a sottrarsi in extremis allo schiacciamento contro la banchina. Ora l’“eroina” è agli arresti domiciliari a Lampedusa e speriamo che ci resti un bel po’ vista la potenzialità criminogena dimostrata. Lei si giustifica dicendo che non era sua intenzione speronare l’imbarcazione della Guardia di finanza ma di essere stata vittima di un errore di valutazione. Ma a chi vuole darla a bere? Se avesse voluto evitare l’impatto sarebbe bastato obbedire all’ordine di alt, fermare le macchine e, subito dopo, dare il comando di “motori indietro” per arrestare l’abbrivio che spingeva la nave verso la banchina. Non l’ha fatto perché ha puntato a vincere il braccio di ferro con le autorità italiane che le proibivano di sbarcare i migranti raccolti nelle acque libiche. E costei sarebbe Antigone? A guardarla in faccia ci ha ricordato piuttosto i volti inespressivi, freddi, feroci dei brigatisti rossi negli anni di piombo.

Va bene il garantismo, ma essere presi per i fondelli da una missionaria del terzomondismo non è accettabile. Una volta tanto siamo noi ad invocare la magistratura perché faccia il suo dovere, fino in fondo. Ciò significa risalire alle radici del problema per dare un taglio concettuale definitivo all’ambiguo ruolo delle Ong, che continuano a pararsi dietro le leggi internazionali sull’obbligatorietà della salvezza delle vite umane in mare camuffando quella che è in realtà una vera e propria organizzazione di trasferimento di immigrati clandestini dalle acque libiche agli approdi italiani. Se fosse stato un autentico salvataggio di naufraghi, la Sea- Watch avrebbe dovuto portare il suo carico umano nel porto sicuro più vicino, cioè in Tunisia o a Malta. Invece, la “capitana” non ha avuto alcun tentennamento nel dirigere la prora verso Lampedusa. E quando dalle nostre autorità le è stata negata l’autorizzazione all’attracco, la signora Rackete non ha neanche provato a invertire la rotta verso altri Stati costieri nel Mediterraneo. Non siamo in grado di dirvi quali reati le verranno contestati. Ad occhio, sembra che abbia fatto strame di parecchi articoli del Codice Penale e di quello della Navigazione. Non siamo tifosi delle manette e mai lo saremo. Tuttavia, in tale specifica circostanza pensiamo che a questa sfrontata giovanetta tedesca, alla quale qualcuno a Berlino ha forse detto di fregarsene delle autorità italiane visto che in Europa comanda la Germania, una lezione vada impartita a dovere. E non è definendola Antigone, come suggerirebbe la pletora di anti-italiani di cui gronda la sinistra radical-chic, che la si manda assolta dai gravi reati commessi. Per l’accidente di Lampedusa è necessario che i responsabili ne rispondano.

Già, i responsabili. Finora i fari sono stati puntati esclusivamente sull’arrogante capitana della Sea-Watch, ma la notte della forzatura del blocco la ragazza non era sola sul ponte di comando. Caso vuole che fossero presenti a bordo almeno cinque parlamentari italiani, di Sinistra italiana, del Partito Democratico e di +Europa. Ora, facciamo a capirci. Non vi è dubbio che sulla nave dell’Ong tedesca siano stati consumati reati. A meno che non fossero stati presi in ostaggio, e trattenuti contro la loro volontà, si suppone che anche i parlamentari abbiano partecipato attivamente all’assunzione delle scelte che hanno determinato i comportamenti sui quali indaga la Procura di Agrigento. Se è così perché non abbiamo avuto ancora notizia di un coinvolgimento giudiziario di quei parlamentari? Dove sono finiti i manettari in servizio permanente? Ma come? Basta che un onorevole o un senatore veda pronunciato il suo nome in una conversazione sospetta tra due soggetti che scatta l’immancabile avviso di garanzia ed entra in funzione il tritacarne mediatico. Al malcapitato non resta che farsi da parte e mettere una croce sulla carriera politica. Invece per l’affare Sea-Watch è calato un silenzio assordante sul ruolo dei politici. Manca forse la comunicazione della notitia criminis perché la Procura si muova? Se è questo il problema, provvediamo subito. Dalle riprese televisive si individua chiaramente la sagoma dell’onorevole Graziano Delrio, capogruppo del Partito Democratico alla Camera dei deputati e già sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri (Gabinetto Renzi) e ministro delle Infrastrutture nei Governi Renzi e Gentiloni, scendere dalla nave alle spalle della capitana Rackete dopo che questa è stata tratta in arresto dalla Guardia di finanza. Piaccia al signor Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento verificare eventuali responsabilità in concorso per i reati ascritti a Rackete Carola di nazionalità tedesca dei parlamentari presenti a bordo nelle fasi di forzatura del blocco navale predisposto e di successivo speronamento di un’unità della Guardia di finanza.

La devono smettere questi odiatori della Patria di farsi paladini di qualsiasi atto violi il prestigio, la dignità e l’onore della nazione. Loro dicono di agire per il bene dell’umanità. Pensassero piuttosto al bene degli italiani, se ne sono capaci. Signor Procuratore della Repubblica, sappia che seguiremo con molto rispetto ma con altrettanta determinazione le indagini che Ella condurrà. E se della sorte giudiziaria della ragazza tedesca ci interessa poco o niente, saremo molto vigili sull’accertamento delle responsabilità in capo ai politici presenti. Noi siamo contro ogni impunità per i cattivi, ma non per questo i cosiddetti “buoni” possono pensare di farla franca.


di Cristofaro Sola