Salvini non rinuncia a governare con Di Maio

I “giornaloni” scommettono sull’imminente crisi di governo. L’indizio sul quale fondano il pronostico sarebbe costituito dall’attacco che Alessandro Di Battista ha rivolto alla Lega. L’“Emiliano Zapata” dell’odierno movimentismo terzomondista sostiene che le pressioni di Matteo Salvini sull’azione di governo siano una provocazione mirata a staccare la spina all’esperienza con i grillini. Commentatori e analisti non sospettano minimamente che possa trattarsi di un banale transfert con il quale un inacidito Di Battista attribuisce all’alleato leghista pensieri negativi e sentimenti di rivalsa che sono suoi nei confronti dell’amico-gemello Luigi Di Maio. È vero che Salvini stia facendo il suo gioco, ma esso non contempla che la corda si spezzi. La pressione sul presidente Giuseppe Conte con l’ultima boutade di anticipare la manovra finanziaria 2020 a prima della pausa estiva, è un segnale di sfida a Bruxelles. Nelle intenzioni servirebbe ad aiutare lo stesso Conte a portare a casa lo stop alla procedura d’infrazione per eccesso di debito avviata dalla Commissione ai danni dell’Italia.

Il ragionamento è semplice: un Salvini che minaccia la fine traumatica della legislatura e, sull’onda di parole d’ordine anti-europeiste, il ritorno immediato alle urne dalle quali potrebbe uscire vincitore con un consenso bulgaro, spaventa i partner europei. Si consiglia pertanto, soprattutto alle opposizioni che continuano a girare a vuoto, di raffreddare i motori, non c’è alcun shutdown alle viste. Mai come adesso Salvini si trova a operare da dominus del patto di governo con un partner che sembra non reagire agli stimoli essendo ancora paralizzato dagli esiti-choc delle ultime tornate elettorali. Perché mai la Lega dovrebbe rinunciare a tale condizione di vantaggio? Per rimettersi a competere con i vecchi alleati forzisti, rimasti fedeli in Europa ai disegni di Angela Merkel? Non c’è ragione alcuna, per Salvini, di forzare i tempi del suo progetto egemonico.

La prossima primavera andranno alle urne i cittadini delle Marche, della Toscana, dell’Umbria e dell’Emilia-Romagna, quattro regioni un tempo le più rosse d’Italia, per rinnovare i Consigli e le rispettive presidenze. Il “Capitano” è perfettamente consapevole del fatto che fin quando non avrà il consenso maggioritario anche in quell’area geografica, la conversione in chiave nazionale della Lega non potrà ritenersi completata. Chiusa positivamente la stagione delle Regionali, si potrebbe riparlare di elezioni anticipate, a patto che la crisi all’interno dei Cinque Stelle si sia evoluta nel senso auspicato da Salvini, cioè che la crepa aperta oggi nel Movimento dall’uscita della senatrice Paola Nugnes, grillina oltranzista di sinistra da sempre vicina al presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico, diventi una lesione insanabile destinata a spaccare in due i Cinque Stelle. E poi, come pensare di tornare alle urne con un pugno di mosche tra le mani? Salvini sa che l’elettorato tradizionale leghista, costituito in prevalenza dai ceti medi produttivi, ha dovuto turarsi il naso di fronte ai provvedimenti economici del Governo voluti dai pentastellati. Il sostegno al welfare in danno di misure direttamente finalizzate alla crescita è una ferita che grida vendetta nell’animo di una parte dell’imprenditoria italiana. Prima di chiedere un rinnovo di fiducia, Salvini deve offrire qualcosa di concreto alla sua platea. Un taglio significativo delle tasse potrebbe essere un buon segnale. Non sarà la Flat tax, ma qualcosa che le assomigli. E i tamburi di guerra che si odono sullo sfondo? Teatro, puro intramontabile gusto nostrano per il melodramma. La prova? La calma dei mercati e dello spread. Pensate che non saremmo già sulle montagne russe della speculazione se le minacce di crisi, prodromo di grave instabilità politica, soffiassero realmente sulla politica italiana?

Di là dagli eroici furori dei protagonisti della scena politica, ciò che aiuta è la lucidità posseduta dai responsabili delle istituzioni di garanzia del nostro sistema socio-economico. Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ospite al Tech Festival di Venezia, ha chiarito che “ci vuole fiducia e capacità di programmazione, non si può vivere sotto l’incubo del disavanzo che non asseconda la richiesta di stabilità dei mercati”. Gli ha fatto eco il presidente della Consob, Paolo Savona, il quale intervistato da “Il Messaggero” a proposito del negoziato con la Commissione europea ha spiegato che: “Dallo stallo si esce solo con il dialogo, parola che le due parti pronunciano ma nessuno realmente attua… Sono convinto che un tavolo di discussione alto, come avevo proposto di istituire nel settembre scorso per affrontare tutti i problemi, aiuterebbe a risolverli. Ma in Italia è in corso una ristrutturazione degli equilibri politici di cui non si può non tenere conto e che richiede tempo. Tempo che i mercati non ci danno. E invece di cogliere il cambiamento, che fa Bruxelles? Arma il conflitto con argomentazioni discutibili: è naturale che le posizioni si irrigidiscano”. Il professor Savona insiste sul punto debole dell’economia italiana: la fiducia degli investitori e dei risparmiatori. Per Savona basterebbe ricostruire la fiducia per invertire la curva del debito. La politica non può fingere di non sentire.

All’alba di una rivoluzione monetaria con nuove cripto-valute che minacciano di mandare in crisi l’ordine mondiale per sostituirsi ad esso, le classi dirigenti italiane devono sintonizzarsi con il mondo del risparmio. D’altro canto, sarebbe ipocrita negare che il primo ad avere voltato le spalle all’Italia è stato proprio il popolo dei risparmiatori. Non ci sono investitori esteri brutti e cattivi a non comprare il nostro debito sovrano. A riempirsi le tasche di Bund tedeschi è la moltitudine di casalinghe di Voghera che, in alternativa al materasso, è stata indirizzata a investire il proprio risparmio in titoli sicuri. Per paradosso, seppure i piccoli investitori della fascia domestic retail volessero fare i patrioti e comprare a iosa Btp, si troverebbero a fare i conti con le norme sulla protezione dei consumatori che, fissando il rischio di perdita ammissibile (Var, value at risk) mediamente al di sotto del 5 per cento, rendono complicato per le famiglie italiane acquistare il debito del proprio Stato.

Ora tocca a Salvini impegnarsi nella sfida della credibilità. Perché un conto è la fiducia a costo zero sul blocco degli sbarchi d’immigrati, altro è dargli ascolto quando si parla di dané. Dunque, se avete prenotato le vacanze in settembre, partite tranquilli. Niente urne, ma solo ghiaccioli, granite e promesse di Flat tax sotto gli ombrelloni dell’estate che incombe.

Aggiornato il 24 giugno 2019 alle ore 10:22