Governare non significa estrarre a sorte

Nel gran parlare e proporre che si sta facendo, soprattutto da parte dei grillini dell’estrazione a sorte sostitutiva di scelte politiche e non solo, sta innanzitutto il vuoto della Polis, ovvero della funzione primaria dell’inanità nelle decisioni collettive e sociali, e anche individuali ovviamente.

Non v’è dubbio alcuno che il primato di questo che i latini bollavano come il vacuum degno dei barbari, o anche dei fuorilegge, si sta imponendo non solo o non tanto nelle discussioni e nelle stesse considerazioni mediatiche, ma rischia di imporsi grazie alla gara in atto per raggiungerne nuove mete, nuovi traguardi. E nuovi danni proprio per gli stessi destinati dal leggendario sorteggio.

Naturalmente il senso più autentico del tirare a sorte risiede innanzitutto nella rinuncia ad esercitare un diritto, in molti casi da parte di governo e parlamento, spacciandola come una scelta consapevole e necessaria contro il dilagare del correntismo squalificato, a sua volta, come degenerazione della politica più pura e meritevole d’applauso. Ma che è, invece, connaturato a qualsiasi politica e che, semmai, va controllato, moderato, interpretato, calmato altrimenti non può non costituirsi in una sorta di autoritarismo alla rovescia, deresponsabilizzato e deresponsabilizzante.

Oggi è il caso del Csm che resta pur sempre fra le più importanti sedi della gestione organizzata della giustizia italiana ma rischia di finire nel gran calderone degli enti di stato di cui si sa tutto, con la differenza che la funzione del Csm va ben oltre, per semplificare e rammentare, un CdA della Cassa del Mezzogiorno o dell’Eni proprio per la sua funzione, fra le più alte e vitali della nostra complessa società.

Il Ministro per dir così competente, quello della Giustizia Bonafede, è il propositore della estrazione a sorte dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura in linea, del resto, con quel Grillo che, a suo tempo, sosteneva l’analogo sistema per quanto riguarda Deputati e Senatori  motivando una simile scelta come un rimedio contro il correntismo ritenuto come il male assoluto della stessa democrazia.

La libertà di pensiero è la conquista più sacra di qualsiasi democrazia non tanto o non soltanto per il lato personale dell’individuo, ma per le inevitabili scelte da compiere da parte di chi ne ha il compito e la responsabilità.

In questo senso non è chi non veda che queste ultime due parole vengono annullate proprio dall’estrazione a sorte che, come dice la parola stessa, affiderebbe al caso delle decisioni che spettano, e non solo per la Costituzione, ai responsabili della cosa pubblica e, infine, alla politica.

Il correntismo è un termine col quale si vorrebbe squalificare il passato per rendere più puro e immacolato il presente sull’onda di quel nuovo che avanza (e che ha avuto successo alle elezioni) ma che non sembra abbia fino ad ora realizzato sia le grandi che piccole riforme rimaste ferme all’empito degli annunci, ripetuti non solo in occasione di campagne elettorali, ma proclamati subito dopo e diffusi non soltanto quotidianamente ma ora per ora purché narrati grazie alla speciale captatio benevolentiae dei mass media, TV in primis ovviamente.

Si chiama populismo o demagogia, come ben sappiamo: un esercizio che la politica di sempre conosce alla perfezione ma che quella oggi al governo pare avere colto e incarnato come quella che ai bei tempi veniva definita la “linea generale” ma, ai nostri giorni, assunta e poi percepita come un continuum di promesse, di propositi, di riforme proclamate, appunto, come se la tecnica del loro annuncio ne  comportasse una soluzione de facto e de jure. Dalle più grandi alle più piccole.

Sicché l’ormai leggendaria bandiera del salario minimo garantito sventolata da un sempre loquace e inesausto Di Maio sta rivelandosi come una trovata di pura demagogia priva com’è di impegni economici ad hoc, degni cioè dell’impegno  mentre, nel frattempo e dalla stessa parte, s’elevano alte grida per la cacciata dei partiti dalla Rai-Tv da parte sempre di un Di Maio Vice Presidente del Consiglio che in tale veste, e grazie ai poteri concessi dalla legge Renzi al governo, vi ha già nominato uno dei suoi preparandosi di certo ad altre nomine ma senza alcun desiderio di cancellare lo strumento che glie le ha consentite e  consentirà.

Qualcuno potrebbe parlare di correntismo pro domo sua, frequente e frequentato in tutte le Repubbliche che si sono succedute e succederanno sullo sfondo, oggi, di un enorme debito pubblico del quale non si sono fino ad ora visti interventi governativi degni di questo nome e degli impegni, anche europei, connessi.

E sui cui non esiste alcuna possibilità di ricorrere a un’estrazione a sorte.

Mentre un allarmato rapporto dell’ISTAT avverte che il Paese non cresce economicamente e neppure demograficamente.

Aggiornato il 24 giugno 2019 alle ore 10:38