Il dito sulla piaga giudiziaria in attesa della politica

Quando il direttore ricorda che i trojan nel telefono di Luca Palamara hanno fatto saltare il coperchio, come una bomba atomica, portando alla luce le cosiddette degenerazioni del sistema giudiziario all’italiana, non ci mostra soltanto un lato della ormai annosa questione, ma va a intaccare proprio il centro più vitale e necessario di una giustizia in tutto e per tutto degna di questo nome: terzietà dei magistrati.

E che, altrimenti? Perché il nodo di centrale della gestione giudiziaria ha bensì aspetti per dir così interni alla sua autoreferenzialità ma con una presenza, non secondaria, di un meccanismo gestionale (Csm in primis, poi Governo, Parlamento ecc.) nel quale non possono essere estranee le spinte se non le complicità della Politeia, intesa appunto come rappresentanza dei diversi movimenti-partiti e il caso di Luca Lotti, apparentemente minore, ne è appunto una spiegazione con tanto di partiti, correnti, magistrati ecc..

La battaglia scatenatasi nei palazzi romani per la successione a Giuseppe Pignatone, ex capo della Procura di Roma, ha avuto come conseguenza “di mettere al centro della scena, con la testa spinta con forza sotto il patibolo, alcuni magistrati molto traffichini, accusati poi di ogni nefandezza con Luca Palamara più mascariato di tutti, sullo sfondo di un’associazione in cui va di moda una stizza particolare a causa appunto del caso Palamara come se per causa sua e dei traffichini, la magistratura nel suo complesso perdesse credibilità”.

Ovvero, ad essere sintetici, la mitica terzietà del giudice che, peraltro, è stata in altri tempi e in altre occasioni ben più intaccata, violata e strumentalizzata; valga per tutti il caso, e che caso, della fine della Prima Repubblica. Ma poi? Appunto.

Il poi, il dopo, anche con l’archiviazione della Seconda Repubblica cosiddetta berlusconiana, è un oggi nel quale i problemi o nodi della magistratura nel suo complesso, a cominciare dal suo “governo” Csm sono in tutta evidenza, al di là (o al di qua) delle possibilità-volontà dell’altro governo, quello di Palazzo Chigi nel quale s’intravedeva la promessa addirittura filosofica dell’arrovesciamento della praxis politica, rappresentata e gestita da Beppe Grillo da oltre dieci anni di squisito odio contro i partiti, tutti all’infuori del Movimento 5 Stelle. E, lo scorso anno, con l’accesso al Governo nel quale, per di più, c’è un ministro della Giustizia pentastellato insediatosi certo in nome e per conto del grido di battaglia del nuovo che avanza “onestà, onestà!” ma in funzione di un grillismo giustizialista dal quale perfino gli stessi soci, dopo un anno gestionale senza particolari meriti riformatori, stanno elevando discrete lagnanze rivelando, a un tempo, sia le sostanziali insufficienze e incapacità governative - cui l’attivismo freneticamente annunciante di Matteo Salvini anche in tema giustizia stenta a rimediare - sia il fondo di vere e proprie ipocrisie diffuse un po’ ovunque nella Polis nostrana a proposito dei problemi veri, radicati, strutturali che riguardano, per ora, una piccola ma chiassosa minoranza della magistratura, senza peraltro procedere alla loro soluzione rafforzando e non indebolendo l’indipendenza e la neutralità della figura del magistrato.

Ma il dito indicante questa annosa questione non può non essere puntato verso la coalizione presieduta da Giuseppe Conte e con al fianco i due cosiddetti dioscuri che impersonano, peraltro, due forze che hanno obiettivi diversi e certe volte incompatibili benché si proclamino del tutto nuovi (il nuovo che avanza, per l’appunto), diffidando innanzitutto del vecchio (che resiste) e demonizzando il passato, non fidandosi assolutamente degli apparati ed esercitando così la capacità-volontà di usare il potere politico per aumentare il consenso popolare e il consenso popolare per allargare il potere politico.

Nihil novi sub sole, verrebbe voglia di commentare se non fosse che le leggendarie riforme strutturali sono in larga parte rimaste nell’ambito dell’annuncio cui il sistema mediatico televisivo oltre che quello, soprattutto via selfie, Twitter, web, ecc., attribuisce i colori dell’iride per illuminarne e pitturarne i risultati, più futuri che presenti, grazie anche all’assenza di un’opposizione degna di questo nome, specialmente in una sinistra tanto ammaccata e timida da suscitarne a volte qualche sospetto di sguardi o alleanze verso i pentastellati, che dall’altra parte dove si nutrono speranze per una ripresa e sviluppo di un neoliberalismo di cui anche i tentativi ultimi da Arcore per un allargamento con una Forza Italia nuova, almeno nelle sue strutture organizzative promesse, rivelano un che di pateticamente in ritardo in un Paese cambiato dopo oltre un anno di governo populista e con la politica e l’economia cambiate a loro volta.

En attendent Godot, pardon, la politique.

Aggiornato il 18 giugno 2019 alle ore 10:33