L’inversione della prova dei somari

In merito alla vicenda che vede indagato per corruzione il leghista Armando Siri, sottosegretario ai Trasporti e alle Infrastrutture, emerge ancora una volta l’inquietante concezione del diritto sostenuta dal Movimento 5 Stelle. Una concezione forcaiola la quale, occorre sottolineare, in questi frangenti viene strumentalmente esaltata per ragioni di puro tornaconto elettorale, vista l’imminente scadenza delle elezioni europee del 26 maggio.

In estrema sintesi, il capo politico dei grillini Luigi Di Maio e il ministro Danilo Toninelli, titolare del dicastero in cui opera Siri, hanno espresso l’auspicio che quest’ultimo possa dimostrare nelle sedi appropriate la propria innocenza, invertendo di fatto l’aspetto fondamentale dell’onere della prova. Onere che solo nei regimi più oscuri di un lontano passato, almeno in Occidente, veniva scaricato sulle spalle degli imputati di turno. Tant’è che nei nostri moderni sistemi democratici di ispirazione liberale non solo tale onere spetta esclusivamente alla pubblica accusa, ma non si parla mai di innocenza nei tribunali, bensì di non colpevolezza. Una distinzione, si badi bene, nient’affatto di lana caprina, dal momento che proprio sul principio della non colpevolezza fino a prova contraria si basa il nostro Stato di diritto.

Su questo piano sono da sottoscrivere in toto le parole del governatore della Liguria, Giovanni Toti: “Mi ha colpito la concezione del diritto penale del signor Luigi Di Maio che ha auspicato che il sottosegretario Armando Siri sappia provare la sua innocenza. Vorrei ricordare che per la Costituzione della Repubblica saranno un procuratore e un tribunale a dover eventualmente dimostrare con tre gradi di giudizio la sua colpevolezza. Ha una visione surreale sull’inversione dell’onere della prova”.

In tal senso, se non vogliamo far sprofondare il Paese in un altro pantano giustizialista, che a mio avviso non potrebbe che peggiorare il fosco quadro sistemico che attanaglia l’Italia, il garantismo costituzionale dovrebbe rappresentare un punto di riferimento per tutti, grillini compresi. E così come la sindaca Virginia Raggi bene ha fatto a non dimettersi quando era indagata, allo stesso modo non è accettabile che un sottosegretario della Lega venga defenestrato per un medesimo provvedimento giudiziario.

Ma naturalmente possiamo comprendere, seppur rigettando in radice un simile approccio, che chi ha fatto della purezza autocertificata la propria cifra, trattando il resto del mondo politico come un gigantesco covo di malaffare, oggi voglia giocare sporco con un alleato di Governo sempre più scomodo. Solo che in una democrazia civile, perché si spera che codesta lo sia ancora, ad orientare gli elettori dovrebbero essere gli atti politici e le proposte, anziché il sinistro tintinnar di manette riportato in auge dai forcaioli pentastellati. Tramonto della cosiddetta Prima Repubblica docet.

Aggiornato il 23 aprile 2019 alle ore 11:24