Italia, Paese del giustizialismo che non se ne va

Intendiamoci: parlare come fa qualcuno di giustizialismo che ritorna, non è esatto. Il giustizialismo non è ritornato perché non se n’è mai andato. È sempre in azione, all’opera, indefesso e proprio nel Paese che si crede(va) la culla del diritto. Già il nostro giornale che del garantismo ha fatto la sua più vera e unica bandiera, ha narrato nei giorni scorsi casi in sé non eclatanti ma sempre e comunque esemplari, nelle soluzioni giudiziarie, dello stato delle cose in Italia.

Siccome il semplicismo, anche e soprattutto mediatico, è subentrato alla dialettica che è la ragion d’essere della democrazia, andrebbero evitate le critiche cosiddette en passant ad una sistema giudiziario che nel suo day-by-day non appare sempre e comunque ispirato alla grande madre di quel garantismo che è oggettivamente indispensabile. Ma che proprio dalla stessa politica – premiata dal voto elettorale e salita a Palazzo Chigi – è spesso e volentieri cestinato perché ispirata alla sua negazione, stabilendo una sorta di santa alleanza con i non pochi Palazzacci e suoi occupanti, più o meno.

Del resto, è noto che il giustizialismo d’antan leghista non è mai stato messo in cantina, a cominciare da quel leggendario grido “Mani pulite” inventato soprattutto dai mass media, forse gli stessi che vent’anni dopo hanno dato vita ad un’altra imprecazione, non meno mitica: “La Casta”.

Le due grida, invero poco manzoniane, hanno dato una grossa mano, la prima ai successi della Lega (e di Forza Italia prima maniera) con l’annientamento dei partiti della Prima Repubblica, la seconda ai trionfi di un grillismo, prima di lotta ed ora di governo, in nome e per conto del nuovo che avanza. In sostanza, e grazie alle assenze riformatrici degne di questo nome anche da parte di un Cavaliere premiato dai consensi, qualsiasi “riforma della giustizia” e delle sue garanzie per i cittadini non è mai decollata.

Questa premessa, sia pure sommaria, serve anche a mettere a fuoco degli esempi che scorrono davanti ai nostri occhi e che si portano con sé il pesante bagaglio di un giustizialismo che non tramonta mai, anche nel silenzio o quasi di un coro massmediatico che sembra poco interessato e propenso ad un’analisi degli episodi e delle persone coinvolte, siano conosciute, sconosciute. Finite nel tritatutto del carcere e delle manette.

Il caso della preside di Imperia, Anna Rita Zappulla, è a suo modo emblematico se è vero come è vero che le manette e l’arresto conseguente sono stati inflitti per aver utilizzato l’auto di scuola per un viaggio, anche in Francia, cioè per i fatti suoi. La Zappulla, poi scarcerata, è una signora ultrasessantenne, incensurata, stimata e ha dichiarato di aver fatto quel viaggio in ragione del recupero di fondi europei, purtroppo andati perduti. Dura lex sed lex, si dice in questi casi, ma il proverbio ha spesso il sapore di una sorta giustificazione, ma a posteriori, di provvedimenti che in ben altri casi e ben più gravi non vengono presi. Gli esempi sono tanti e quotidiani e li risparmiamo.

Soffermiamoci invece sul caso di Emilio Fede che è scampato ad arresti comunque “minacciati”, ma poi trasformati in “domiciliari”. Francamente è difficile se non impossibile immaginare un famoso giornalista come Fede, ultraottantenne, a rischio di arresto giudiziario per le cosiddette vicende di Arcore sulla cui gravità qualsiasi dibattito, anche il più antiberlusconiano, non potrebbe non concludersi con una risata collettiva, non fosse altro che per scongiurare se non irridere a fronte di una galera alle viste. Ma di dibattiti, nemmeno l’ombra. Dura lex sed lex, appunto.

Infine, un cenno di nuovo alla vicenda di un Roberto Formigoni, da qualche tempo associato alle carceri di Bollate, vicino Milano. Anche nel suo caso l’inflessibilità del giudizio è della stessa dura e ferrea materia delle manette. E nessuno può oggettivamente mettere in ombra colpe e responsabilità dell’ex presidente lombardo. Il punto è un altro. Anzi, il fatto. Ed è che Formigoni ha superato i settant’anni e la stessa Costituzione italiana è abbastanza chiara in proposito a condanne in carcere ad una certa età. Dignitosamente, Roberto Formigoni ha voluto e saputo affrontare questa prova con dignità e pacatezza. Ma il fatto, cioè la galera, rimane.

Il cappio sventola sul nuovo che avanza.

Aggiornato il 19 aprile 2019 alle ore 10:56