Libia: la nuova Caporetto dell’Italia

martedì 16 aprile 2019


Libia, Italia ridotta a palcoscenico internazionale del Qatar e dei Fratelli Musulmani. È questa la cifra degli incontri che si sono svolti ieri a Roma tra il vicepremier e ministro degli Esteri di Doha, Mohamed Al Thani, il vicepresidente libico Ahmed Maitig, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il ministro degli Esteri, Vincenzo Moavero. Proprio mentre su tutti i giornali nazionali si discute dello scandalo “Qatar Papers”, ovvero di come gli emiri di Doha abbiano copiosamente finanziato la diffusione del fondamentalismo dei Fratelli Musulmani dal nord al sud della penisola.

Obiettivo del vertice è stata la ricerca di una soluzione diplomatica all’escalation militare della crisi che il governo italiano continua a imputare all’offensiva del Generale Haftar su Tripoli, diretta contro Fayez al-Sarraj, il presidente riconosciuto come tale dalla comunità internazionale, sebbene non sia mai stato legittimato da una votazione popolare.

Si tratta, in realtà, di una posizione che stravolge completamente le circostanze che hanno condotto all’attuale situazione di conflitto. Perché sono state esattamente le fazioni politiche e le milizie armate affiliate ai Fratelli Musulmani a impedire che dopo anni di negoziati, formali e informali, si raggiungesse un accordo per la condivisione del potere e la nascita di un governo di unità nazionale che conducesse il paese allo svolgimento di nuove elezioni e di un referendum per l’approvazione della costituzione. La Fratellanza libica, con gli Stati canaglia che la sostengono - il già menzionato Qatar e la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan - è infatti consapevole che un ritorno alle urne avrebbe come esito una nuova sconfitta elettorale, come già accaduto nel giugno 2014. È stato allora che le milizie dei Fratelli Musulmani, riunite nella cosiddetta Alba Libica, hanno preso d’assalto Tripoli costringendo il Governo e il Parlamento frutto di regolari elezioni a rifugiarsi temporaneamente a Tobruk in Cirenaica, originando una spaccatura che non si sarebbe più ricomposta.

Invece di assumere una posizione nettamente contraria al colpo di mano e appoggiare le legittime autorità libiche, le Nazioni Unite hanno pensato di creare un’autorità artificiale basata a Tripoli che rappresentasse i Fratelli Musulmani in un processo negoziale volto a raggiungere la riconciliazione nazionale. È così che nascono il Consiglio presidenziale e il Governo di al-Sarraj, il quale ha poi trascinato le trattative per 5 anni senza addivenire mai a un compromesso, consentendo all’occupazione militare di Tripoli da parte delle milizie dei Fratelli Musulmani, armate da Qatar e Turchia, di continuare indefinitamente.

La tanto declamata conferenza prevista a Gadames dal 14 al 16 aprile avrebbe consentito ad al-Sarraj di guadagnare nuovo tempo, perpetuando lo stallo diplomatico. Di fronte a tale prospettiva, Haftar ha ritenuto fosse il momento di prendere l’iniziativa sul versante militare, attaccando le milizie dei Fratelli Musulmani che occupano Tripoli con l’Esercito Nazionale Libico, di cui è stato nominato comandante dal Parlamento legittimo nel marzo 2015. L’offensiva è stata preceduta da una campagna nella regione meridionale del Fezzan, dove l’esercito, che aveva già liberato Bengasi dalle milizie islamiste legate alla Fratellanza, ha esteso il proprio controllo su aree petrolifere strategiche nell’ottica di una riunificazione del paese, da completarsi con la liberazione della capitale dai Fratelli Musulmani.

Nell’ambito delle vicende libiche post-gheddafiane, l’Italia ha scelto di porre tutte le sue uova nel paniere della Fratellanza e dei suoi padrini regionali, Doha e Ankara. La localizzazione dei propri interessi energetici in Tripolitania, dalla cui costa dipartono inoltre le navi dei migranti dirette in territorio italiano, poteva rendere comprensibile il raggiungimento di forme di accomodamento in nome della realpolitik. Tuttavia, la visita a Roma di Al Thani e Maitig è rivelatrice di un servilismo nei confronti del campo islamista che va ben oltre il necessario ed è il frutto amaro di quella “colonizzazione dolce” a cui il paese è stato sottoposto dalla sua stessa classe dirigente, dal Quirinale in giù. L’abbraccio mortale al Qatar è stato preparato dal governo Renzi e dai suoi ambasciatori tuttora presenti a Doha. Il governo Conte lo ha ricevuto in eredità, ma non ha apportato alcun cambiamento di linea e ha anzi continuato la discesa all’inferno, materializzatosi nell’escalation della crisi libica attualmente in corso.

Haftar non ha mai creduto alla genuinità dei tentativi di Roma di mediare affinché le controparti raggiungessero un accordo, neppure dopo la conferenza di Palermo, durante la quale ha concesso a Giuseppe Conte la stretta di mano e la photo opportunity con Sarraj per dare l’opportunità al neo-Premier di provare successivamente la sua credibilità come interlocutore. Ma Conte si è fatto avvolgere completamente nelle trame imbastite dal Qatar, al pari di altri illustri membri dell’esecutivo, e lo ha dimostrato con la visita a Doha d’inizio aprile, sottolineando l’esistenza di un “consenso” tra Italia e Qatar sulla stabilità del Nord Africa. È solo una coincidenza che l’offensiva di Haftar su Tripoli sia scattata solo qualche giorno dopo?

Pertanto, anche dietro il supporto della politica e della diplomazia italiane al processo negoziale promosso dalle Nazioni Unite, si nascondeva la volontà di prendere tempo. Se per al-Sarraj e i Fratelli Musulmani il trascinarsi delle trattative era garanzia di restare al potere a Tripoli, per Roma significava allontanare il momento della verità, quello della conclamazione del fallimento. Il momento è invece giunto e per di più nell’imminenza di una nuova conferenza per la riconciliazione nazionale che avrebbe dovuto dare ulteriore ossigeno alla miope strategia italiana. Mentre si prepara una nuova gigantesca ondata di migranti, nonostante gli accordi con le milizie della Fratellanza stretti con Marco Minniti e confermati successivamente da Matteo Salvini al Viminale per fermare il flusso degli arrivi.

Ora è troppo tardi per un cambiamento di linea. Il Qatar e i Fratelli Musulmani hanno stretto il governo in una morsa da cui non riesce a divincolarsi e si sono autoinvitati a Roma, da dove senza ritenzione alcuna hanno invocato una soluzione politica alla crisi. D’altro canto, i continui attacchi alla Francia possono servire solo a deviare l’attenzione dell’opinione pubblica, o meglio degli elettori, dalle responsabilità che in meno di un anno questo governo è riuscito ad accumulare in quella che ha tutta l’aria di essere per l’Italia una nuova Caporetto, quella libica.


di Souad Sbai