Il Def bellissimo delle scimmie al volante

Come avevamo previsto su queste pagine, il Governo dei miracoli ha approvato un Documento di economia e finanza molto vicino alla linea della verità portata avanti dall’attuale guardiano dei conti pubblici: il ministro dell’Economia, Giovanni Tria.

Un Def “bellissimo” i cui numeri impietosi, sebbene ancora edulcorati rispetto alle fosche prospettive espresse dalle maggiori agenzie internazionali, fotografano il fallimento della politica di deficit-spending a tutta manetta delle nostre carissime scimmie al volante. Già, proprio quei ridicoli numeretti, così invisi agli attuali sacerdoti del cambiamento, che raccontano di un Paese sostanzialmente fermo, preannunciandone la repentina caduta nel sottosviluppo. Tant’è che, mentre Matteo Salvini e Luigi Di Maio mettono in piedi l’opera buffa di una flat tax priva di alcuna copertura, dunque irrealizzabile, l’Esecutivo unito è costretto a scrivere con caratteri di piombo ben altro.

Quest’anno, bene che vada, il Pil crescerà dello 0,2 per cento (di cui per metà grazie alla “poderosa” spinta determinata dal famoso reddito di cittadinanza); il debito pubblico salirà al 132,7 per cento, sfondando le previsioni di un punto; mentre il rapporto deficit/Pil, malgrado l’estenuante trattativa di alcuni mesi addietro con la Commissione europea, sembra posizionarsi ampiamente in zona a rischio di infrazione, con un bellissimo 2,4 per cento.

Per dirla in estrema sintesi, il Paese non cresce, lo Stato incassa meno soldi dal gettito tributario allargato e il bilancio pubblico, messo già a dura prova dalle spese elettorali dei giallo-verdi, si trova praticamente sull’orlo del baratro. Baratro che ha un nome preciso ed è lo stesso che nell’autunno del 2011, al di là delle favole, costrinse l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a rassegnare le dimissioni: l’impossibilità concreta di sostenere il nostro colossale debito pubblico.

Ora, sebbene la congiuntura mondiale non sia la stessa di quel fosco periodo, in cui un diffuso panico sui mercati finanziari provocò la fuga in massa dai bond dei Paesi ritenuti più esposti, le dimensioni complessive del debito sovrano italiano sono lievitate sensibilmente, al contrario di una economia la quale, unica in Europa, non ha ancora raggiunto i livelli del 2007.

Ciò, messo in relazione con la quasi recessione certificata dal Governo in carica, significa molto semplicemente che non siamo in grado di garantire in tempi ragionevolmente lunghi il pagamento degli interessi a chi ci presta i quattrini. Infatti, come mi sforzo di ripetere fino alla nausea, se la crescita nominale del Pil è inferiore al costo medio dei medesimi interessi sul debito pubblico – e nel nostro caso la differenza tra i due valori è decisamente marcata – la situazione della finanza pubblica tende ad avvitarsi in una spirale micidiale. In sostanza l’indebitamento, non più garantito da una economia in affanno, tende ad aumentare oltre misura, mentre il timore di non veder tornare indietro i propri soldi spinge gli investitori a chiedere tassi d’interesse più alti. Una situazione che in parte ha già cominciato a materializzarsi fin dai primi vagiti del governo pentaleghista, con uno spread costantemente inchiodato su livelli di guardia e oltre. Ma perdurando una linea politica senza sbocchi, caratterizzata da una gestione del bilancio eufemisticamente irresponsabile, i mercati finanziari non ci metteranno molto a capire che la caravella italiota sta procedendo dritta verso gli scogli, adottando le inevitabili conseguenze del caso. Poi chiamateci pure gufi.

Aggiornato il 11 aprile 2019 alle ore 10:06