Caso Cucchi ed il rischio di una crisi devastante

Ilaria Cucchi ha vinto una battaglia che entrerà nei libri di storia imponendo con la sua determinazione il trionfo della verità nella vicenda della morte del proprio fratello. E ha avuto anche la forza di usare questa vittoria non per prendersi una rivincita morale sull’Arma dei carabinieri, ma per dare ampio riconoscimento alla Benemerita di essere in grado di autoriformarsi e rigenerarsi.

Ma la vicenda Cucchi non si esaurisce con la vittoria di Ilaria. La questione che ora si pone non è più quella di stabilire che la vittoria della famiglia Cucchi comporta l’automatica sconfitta dell’Arma dei carabinieri, ma fare in modo che questa sconfitta non si trasformi in una disfatta per la stessa Benemerita. Il comandante generale Giovanni Nistri ha pensato che per evitare un rischio del genere sia opportuno far presentare l’Arma come parte civile nel processo ai carabinieri responsabili della morte del giovane tossicodipendente. Contro questa decisione si è schierato il colonnello Sergio De Caprio, presidente del sindacato dei carabinieri, più noto al grande pubblico come “Capitano Ultimo” artefice della cattura del capo mafioso Riina, secondo cui meglio avrebbe fatto il comandante generale a dimettersi dal proprio incarico piuttosto che far perseguire dall’Arma i suoi militari accusati di aver provocato la morte del fratello di Ilaria.

È difficile stabilire se le dimissioni di Nistri chieste dal capitano Ultimo siano in grado, più e meglio della costituzione dell’Arma come parte civile nel processo, a cancellare l’onta che la vicenda Cucchi ha gettato sull’intero corpo. È molto più facile rilevare come l’iniziativa del colonnello De Caprio possa trasformare la vittoria di Ilaria in una valanga di polemiche e di discredito destinata a sconvolgere e travolgere l’asse portante delle Forze dell’Ordine del nostro Paese.

Quale esigenza deve avere la prevalenza in una vicenda del genere? Quella della responsabilità oggettiva del comandante generale che diventa automaticamente il capro espiatorio di una colpa divenuta collettiva nel corso dei lunghi anni della battaglia di Ilaria? Oppure quella di dimostrare la capacità dell’Arma di autorigenerarsi chiedendo una punizione esemplare per quei suoi dipendenti che non hanno rispettato i valori su cui hanno pronunciato un solenne giuramento?

Tra queste due esigenze c’è n’è una terza che non può non prevalere. Quella del superiore interesse del Paese. Una crisi dell’Arma sarebbe un colpo micidiale alla intera società nazionale!

Aggiornato il 11 aprile 2019 alle ore 10:05