La legittima difesa come metafora

A cose fatte (per ora, mentre già s’annunciano contromisure direttamente o indirettamente restrittive), la nuova legge sulla legittimità della difesa può essere riguardata come una metafora della mentalità del progressismo italico, che è del resto molto variegato. Lasciamo stare il richiamo al Far West, che, quando non evoca i ricordi giovanili della stagione cinematografica dei western americani e degli spaghetti western nostrani, costituisce soltanto un maldestro riferimento storico e giuridico perché nel duello all’americana la legittima difesa era implicita ed insindacabile giudiziariamente in quanto chi estraeva per primo la pistola, se sparava in ritardo, restava ferito o ucciso da chi estraeva la pistola per secondo. Quindi, di fatto, i duellanti versavano dall’inizio in condizioni di reciproca difesa legittima (una proporzionalità ante litteram, sembrerebbe!). Prendiamo invece la prima, più onnicomprensiva obiezione alla nuova legge: è lo Stato che deve garantire la sicurezza dei cittadini. Vero. La funzione primordiale dello Stato è proprio questa: difendere i cittadini verso l’esterno e verso l’interno. Ma chi sono quelli che invocano tale protezione nel caso specifico? Proprio quelli, appunto, che amano lo Stato “pacifista”, disarmato, in politica estera e “buonista”, indulgente, in politica interna.

Tale obiezione, in genere, non evidenzia soltanto l’ipocrisia di chi la prospetta, ma anche la sua fragilità argomentativa. La necessità, dunque la legittimità, della difesa personale riguarda, in base a ciò che accade di norma, fattispecie nelle quali, per definizione, l’intervento delle forze di polizia non c’è o non ha potuto verificarsi in tempo utile a scongiurare  la reazione vitale, violenta, della vittima. La legittima difesa, che la legge garantisce, riguarda un “momento spaziotemporale” contraddistinto da una condizione di “assenza virtuale” dello Stato: momento e condizione nei quali vige il principio, pur’esso di diritto, vim vi repellere licet, risalente nientemeno al Digesto che lo codifica traendolo dalle origini della legge romana. Pare pertanto che solo politici faziosi e intellettuali poco intelligenti possano biasimare e condannare la difesa personale invocando l’esclusiva statale nelle ipotesi in cui lo Stato non c’è per assunto. La verità incontestabile è che la legittima difesa, in se stessa, non avrebbe neppure bisogno della sanzione di una legge, iscritta com’è nella natura atavica dell’essere umano, sia agente sia giudicante.

Un’altra obiezione alla legittimità della difesa personale è che essa equipara la proprietà privata alla vita umana giacché esclude la punibilità di chi preserva i suoi beni a scapito della salute del delinquente che gliel’insidia con minaccia, forza, inganno, violandoli. Qui emerge con prepotenza il pregiudizio illiberale contro la proprietà materiale, distinguendola dalla vita del proprietario. Ma la libertà dell’individuo non è che la proprietà del suo corpo, come insegna Locke, un po’ più autorevole di codesti oppositori, i quali invocano “i diritti inviolabili dell’uomo” contemplati malamente dall’equivoco articolo 2 della Costituzione, dimenticando invece che i diritti naturali sono stati teorizzati, affermati, prescritti da Locke con le seguenti immortali parole: “L’uomo ha dunque per natura il potere non solo di conservare la sua proprietà – cioè la vita, la libertà e i beni – (l’inciso è di Locke, il corsivo è nostro!) contro le offese e gli attentati degli altri uomini, ma anche di giudicare e punire le altrui infrazioni a quella legge, con la pena ch’egli è convinto quel reato meriti, perfino con la morte nel caso di crimini la cui efferatezza, a parer suo lo richieda. Ma, poiché nessuna società politica può darsi o sussistere se non ha in sé il potere di salvaguardare la proprietà e, in vista di ciò, punire le infrazioni commesse da tutti coloro che a quella società appartengono, la società politica si dà lì e solo lì dove ogni singolo ha rinunciato a quel naturale potere e lo ha affidato alla comunità in tutti i casi in cui non sia impedito dal chiedere protezione alle leggi da essa stabilite” (John Locke, “Trattato sul governo”, a cura di Lia Formigari, Editori Riuniti, 1974, pagina 113).

 

Aggiornato il 05 aprile 2019 alle ore 11:54