Il “fuoco amico” nel Pd

venerdì 5 aprile 2019


Il problema del nuovo segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti non è il “fuoco amico” ma la linea politica. Se le liste per le elezioni europee vengono aperte ai “bersaniani”, cioè a quanti decisero di attuare la scissione in contrasto con la linea politica dell’allora segretario Matteo Renzi, appare fin troppo evidente che la decisione di Zingaretti sia destinata a provocare la reazione negativa degli ex renziani. Non per fatto personale nei confronti dei “bersaniani” o del segretario ma perché l’apertura delle liste agli scissionisti comporta un significativo spostamento a sinistra del baricentro politico del Pd che non può lasciare indifferente chi è contrario ad una svolta del genere.

Zingaretti sa bene che il “fuoco amico” non nasce da un senso di ripicca ma da una forte motivazione politica. E ha cercato di mimetizzare la conversione a sinistra impressa dalla sua segreteria al Pd sostenendo la necessità del partito unitario ed allargato e cercando di bilanciare l’apertura agli scissionisti con la candidatura di Carlo Calenda, autonominatosi espressione delle componenti liberale e riformista. Ma la foglia di fico “calendiana” non funziona. Sia perché l’ex ministro è autoreferenziale e rappresenta esclusivamente se stesso. Sia perché chi è contrario allo spostamento a sinistra ha già un punto di riferimento che si chiama Matteo Renzi e che non ha mai nascosto di essere totalmente ostile all’obiettivo verso cui la svolta di Zingaretti è indirizzata. Quello di creare le condizioni per una alleanza tra Pd e Movimento Cinque Stelle che segni il ritorno dell’unità delle sinistre e costituisce la vera alternativa al Governo giallo-verde ed al centrodestra a trazione salviniana.

È probabile che durante la campagna elettorale i nemici del “fronte popolare” rivisitato da Zingaretti secondo l’intuizione avuta a suo tempo da Pier Luigi Bersani evitino di mettere mano al “fuoco amico” per non assumersi la responsabilità di una sconfitta elettorale che appare sempre più probabile vista la scarsa forza carismatica dell’attuale segretario. Ma è certo che se mai le liste aperte ai bersaniani non dovessero produrre il risultato sperato, cioè garantire la ripresa dei consensi ed il superamento della quota del venti per cento, all’indomani del voto scatterebbe una ennesima guerra interna nel Pd sul tema del rapporto con il Movimento Cinque Stelle. Altro che “fuoco amico”! Lotta fratricida!

 


di Arturo Diaconale