Elezioni in Turchia, per Erdogan una vittoria di Pirro

Cattive notizie per il Sultano. Le elezioni amministrative in Turchia hanno visto perdere l’Akp, il partito del presidente Recep Tayyip Erdogan, sia nella capitale Ankara che ad Istanbul, insieme ad altre importanti città del Paese.

Uno smacco, quello andato in scena domenica, che fa esultare i laici di Turchia, nonostante l’area governativa possa vantare la conquista del 56% dei comuni ed il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) sia ancora la prima formazione a livello nazionale con il 44,3% dei consensi, in crescita rispetto al 2018. Un dato, questo, che evidenzia la forte contrapposizione tuttora esistente tra centro e periferia, tra città e mondo rurale, con l’Anatolia profonda ancora schierata in favore del presidente turco.

Erdogan, però, difficilmente potrà considerarsi soddisfatto dall’esito elettorale, che per molti aspetti può essere considerato storico. A cominciare dalla perdita della perla del Bosforo, Istanbul, da cui partì la scalata al vertice nel 1994, quando conquistò la guida della città che ne consacrò l’ascesa sulla scena politica nazionale.

A destare scalpore è stata infatti la sconfitta in una città che il partito del presidente governava ininterrottamente da 25 anni e sulla quale lo stesso Erdogan aveva puntato molto nel corso della campagna elettorale. Seppur con un distacco minimo (circa 24mila voti su una città di 15 milioni di abitanti) sarà Ekrem Imamoglu il nuovo sindaco di Istanbul. Candidato del kemalista Chp (il Partito Popolare Repubblicano che nel 2023 festeggerà il centenario dalla sua fondazione), Imamoglu ha prevalso con il 48,79 per cento contro l’ex premier Binali Yildirim, attestatosi al 48,42%, nonostante l’impegno in prima persona di Erdogan per sostenerne l’elezione.

La notizia della sconfitta ad Istanbul è arrivata solo ieri, mentre lo spoglio di Ankara si era già concluso domenica, anche in quel caso portando brutte notizie per i sostenitori del presidente della Repubblica. Manus Yavas, sempre del Chp, ha strappato la capitale allo sfidante dell’Akp Mehment Ozhaseki, con il primo che ha ottenuto il 50,9% dei consensi contro i 47% del secondo. L’opposizione ha poi ottenuto il controllo di altre importanti città del Paese: da Adana ad Antalya, passando per Mersin e la conferma di Smirne, terza città più popolosa della Turchia. La denuncia di irregolarità da parte di fonti governative (che hanno annunciato la volontà di far eseguire un riconteggio di oltre 300mila schede) porterà la Commissione elettorale suprema a doversi esprimere sullo svolgimento di questa tornata elettorale. Ad ogni modo il dato politico è abbastanza eloquente a prescindere dall’esito del ricorso.

Le ragioni della polarizzazione della società turca e dello scontento delle classi medie urbane sono molteplici, a cominciare dalla perdita di potere d’acquisto registrata dai consumatori l’anno scorso: l’inflazione nell’ottobre del 2018 aveva raggiunto il 25%, scendendo successivamente intorno al 20%, un dato comunque incredibilmente alto. La stessa crescita del prodotto interno lordo, seppur notevole se paragonata ai tassi europei, ha registrato un brusco calo, passando dal 7,4% del 2017 al 2,6%. Certamente è ancora del tutto prematuro pronosticare la fine politica del Sultano, che ha dimostrato una tenuta sostanziale nell’entroterra anatolico, ma la battuta d’arresto di questi giorni ci mostra un Paese tutt’altro che monolitico. La speranza è che l’islamismo politico del presidente Erdogan possa essere arginato dalle forze laiche, per assicurare ad Ankara un ruolo propositivo in Medio Oriente.

Aggiornato il 04 aprile 2019 alle ore 11:23