La cecità elettorale dei geni al potere

Reagendo con sdegno all’allarme lanciato dall’Ocse sulla tenuta dei nostri conti pubblici, Luigi Di Maio e Matteo Salvini ribadiscono sostanzialmente il loro “me ne infischio” a qualsiasi rapporto con la incalzante realtà dei fatti. Preda di una sorta di visione ristretta, i dioscuri del cambiamento sembrano badare unicamente ad un solo aspetto: il consenso da ottenere alle prossime elezioni europee.

Per il resto, ovvero i preoccupati avvertimenti di gran parte dei più autorevoli centri studi nazionali ed esteri, vale in modo cinico e irresponsabile un famoso motto di Napoleone Bonaparte secondo il quale l’armata avrebbe dovuto sempre avanzare, mentre i rifornimenti potevano seguire con comodo.

Allo stesso modo, restando alla sofisticatissima strategia politica dei due vicepremier al comando, l’importante è spendere e spandere a debito in cambio di voti, le benedette coperture prima o poi (si spera) arriveranno. A ben guardare, si tratta di una logica che, occorre sottolinearlo, porta alle estreme conseguenze la linea seguita un po’ da tutti i governi da almeno mezzo secolo. Cioè l’idea catastrofica di devastare il bilancio dello Stato per gestire il consenso e, una volta incassato il premio elettorale, immaginare che il suffragio ricevuto fosse poi sufficiente per aggiustare il bilancio medesimo.

In tal senso, malgrado la ossessiva propaganda dei nostri eroi si ostini a ribadire che le loro misure sono diverse, nulla di nuovo si registra nella nostra democrazia di Pulcinella, se non un pericoloso aggravamento delle antiche dinamiche. Tant’è che i nostri due campioni non fanno altro che ripetere a chiunque osi mettere in discussione le loro scelte economiche, fosse pure il Padreterno, di farsi eleggere. Ergo, in questa semplificata filosofia politica buona per ogni palato, la realtà la stabiliscono solo gli elettori e se quest’ultimi decretano che la Terra è piatta, piatta ha da essere.

Ovviamente la matematica e il buon senso stanno altrove, insieme alle crescenti perplessità nutrite dagli investitori di mezzo mondo su un Paese che decide di suicidarsi per realizzare le due demenziali misure bandiera di Lega e Movimento 5 Stelle: “Quota 100” e “Reddito di cittadinanza”. Il problema, non solo per Di Maio e Salvini, bensì per noi tutti, è che quando la perplessità, la quale attualmente ci costa oltre 100 punti di spread, si sarà inevitabilmente trasformata in un rifiuto in massa di rifinanziare un Paese sempre più incapace di tenere in ordine i conti pubblici, allora sì che saranno dolori seri. A quel punto le ciniche chiacchiere elettoralistiche dei geni della lampada al potere varranno meno di zero.

Aggiornato il 03 aprile 2019 alle ore 10:53