Fra il dire e il fare…

L’Italia è ferma al 2000, dicono quelli dell’Ocse. Più che avanti, va indietro. È probabile, molto probabile. Ma quelli del Movimento 5 Stelle, guidati da Luigi Di Maio, rispondono colpo su colpo: blocchiamo le auto blu! E basta con gli stipendi alti ai parlamentari! E giù (su) di lì.

Ancora l’Ocse, che non pare politicizzata, non è d’accordo sull’ormai leggendario reddito di cittadinanza che creerebbe più disoccupati che occupati con sullo sfondo le approvazioni di riforme (poche, pochine) di governo che ce la mettono tutta a paralizzare la nostra economia.

Si dicono tante cose, soprattutto nell’ultravision quotidiana dei due vicepresidenti del Consiglio fra cui spiccano, ça va sans dire, i grilliini governativi dei quali si può ora tranquillamente affermare come e qualmente grillismo e governo innalzino una speciale insegna, un vessillo autentico, vero e proprio, inteso come una bandiera dell’onestà che corre il rischio di diventare una sorta di maschera: degli incapaci.

Con un “qui decido io!” pare che Matteo Salvini se ne sia uscito non imprevedibilmente, aggiungendo a seguire una negazione contestuale ad una censura dimaiana mentre si surriscaldano i rapporti nel governo a due con un vero e proprio affondo pentastellato contro il ministro Giovanni Tria, evocando un conflitto d’interessi, e in compenso la Lega attacca il Premier Giuseppe Conte perché non sarebbe più l’avvocato del suo popolo ma, soprattutto, dei suoi grillini. E le banche? Meno male che se ne occupa il Quirinale.

Certo, le auto blu, queste sciagurate, andranno ridotte, come vogliono i neoriformatori in nome anche di quel grido “onestà, onestà!” urlato (ora un po’ meno, sullo sfondo dei casi Frongia, De Vito, Lanzalone) ai quattro venti su cui, lo ricordiamo ancora una volta, Benedetto Croce aveva scritto: “L’ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli e prende forma nelle non cantate prose delle loro invettive e declamazioni e utopie, è quello di una sorta di areopago, composto di onest’uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio Paese”.

Intendiamoci, uno come Salvini che si trova oggettivamente agevolato dalla non preparazione al governo dei grillini, fa bene a dare la carica, quella del fare, ma soprattutto del dire, in un Esecutivo nel quale l’unica voce, fino ad ora, ma sottotono, è quella, non a caso, del ministro Tria, mentre quella di Moavero, che pure siede fra i ministri, è praticamente sconosciuta. Come si dice, si vedrà. O si udrà.

Sempre i leghisti hanno messo nel mirino le case famiglia, non solo, ma in polemica con il Premier, dichiarano sia pure a bassa voce che Conte non è più il difensore degli italiani, ma, piuttosto, l’avvocato dei pentastellati in difficoltà, non dimenticando la sua recente dichiarazione a proposito di adozione e della confusione fattane, ha specificato, proprio da Salvini: “Studi, prima di parlare”. Tant’è, come si commenta in questi casi nei quali, peraltro, siamo sempre sul piano inclinato del dire più che del fare.

Il fatto è che sembra sia stato sottovalutato il meeting veronese della destra cattolica con la “marcia della famiglia” dei diecimila in Piazza Bra conclusiva del World Congress of Families ospitato alla Gran Guardia di Verona e della quale il M5S ha parlato di un ritorno al Medioevo con immediata replica: “Noi non cambiamo idea, sono loro che hanno perso il contatto con la realtà!”.

La realtà appunto. Con cui altri cattolici, ma di sinistra, sono destinati a fare i conti con il Partito Democratico di Nicola Zingaretti in vista anche e soprattutto delle elezioni europee con delusioni fin da ora giacché trovano ostacoli sia per la competizione europea che per le elezioni amministrative, tanto che l’ex viceministro Mario Giro si è lasciato scappare un condizionale: “Se le cose non cambieranno, le strade potrebbero separarsi”.

Parole, parole, parole, cantava Mina. Solo parole?

Aggiornato il 03 aprile 2019 alle ore 10:53