Verona: i pilastri della Terra

Da garantista, laico, diversamente credente sto con il XIII Congresso mondiale delle famiglie. Non ho condiviso tutte le tesi lì sostenute, nondimeno non potrei tenere bordone all’Internazionale del politicamente corretto che sull’iniziativa di Verona ha scatenato un’ignobile caccia alle streghe. Nessuna meraviglia, è la parallasse della supernova comunista che, anche dopo morta, continua a irradiare spirito egemonico.

Nella tre-giorni veneta si è parlato di famiglia e di libertà, di condizione della donna e di futuro dell’umanità, ma evidentemente non nella maniera appropriata per orecchie progressiste. Sono stati affrontati argomenti scomodi come la Legge 194, sull’aborto. E che male c’è nel discuterne apertamente? Non è forse il confronto tra idee opposte il sale della democrazia? Una legge può essere cambiata, migliorata, attuata nella parte rimasta inapplicata senza che chi lo proponga sia condannato alla dannazione eterna. Ma la sinistra che accarezza il pelo alle organizzazioni femministe, ai fanatici pro-Lgbt e ai predicatori delle teorie gender ha scelto di darsi all’antropologia rubricando una speciale categoria di subumani nella quale annoverare tutti coloro non abbiano fatto abluzioni purificatrici nel mainstream del pensiero unico. Il nemico è per convenzione “oscurantista”.

La verità orwelliana del Grande Fratello progressista ha assunto le arcigne fattezze della senatrice piddina Monica Cirinnà colta nell’atto di ostensione di un rozzo cartonato: “Dio-Patria-Famiglia: che vita de merda”. Che inarrivabile altitudine di pensiero! Ho visto levarsi dalle piazze ululanti e incarognite del politicamente corretto lo spettro di frate Girolamo Savonarola. Sono state evocate le tenebre. Ma l’unico oscurantismo che ho visto andare in scena è stato il dogma progressista.

Al congresso di Verona è stato richiamato il concetto prepolitico di famiglia, quale comunità naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, che precede la fondazione dello Stato. Sbaglierò, ma mi sembra di ricordare che l’istituto familiare nella sua configurazione tradizionale sia un fondamento della cultura liberale. La famiglia adempie a una funzione giuridica, economica e sociale insostituibile nello sviluppo della civiltà alla quale apparteniamo. Ciò non implica la demonizzazione di altre forme di comunità basate sull’esclusivo vincolo affettivo e meritevoli di tutela dall’Ordinamento giuridico. Ma sono un’altra cosa. Il legislatore le riconosce come “unioni civili”. Ora, la pretesa di scardinare l’istituto familiare dal ruolo che gli assegna la nostra Carta Costituzionale è un atto di autoritarismo culturale di una minoranza che pretende, senza passare per i canali del dibattito democratico, di sovvertire il pactum societatis. Invocare un supposto primato morale per imporre un’idea è propriamente la materia filamentosa di cui è fatta la tirannide.

Per le truppe cammellate dell’esercito del Bene cancellare l’evento di Verona sarebbe stato un atto d’igiene progressista. Non riuscendo nell’intento demolitorio, ci si è rifatti con la storiella del nuovo Medioevo. Come si fa ad essere tanto ignoranti e stupidi? Ma quale buio? Il Medioevo è stato il tempo dei santi, dei poeti, dei navigatori e dei costruttori di cattedrali. Saranno pure, illo tempore, avvenute cose brutte, ma quale età della civiltà umana non ha conosciuto la barbarie? Eppure i progressisti dicono che a Verona è risorto un paradigma famigliare raso al suolo dalle rivoluzioni illuminate. Donne restituite con la forza al focolare domestico, diritti civili negati, ripristino della gerarchia di genere tra uomo e donna e obbligo alla maternità, sarebbero stati i punti salienti del programma di Verona che se veri avrebbero fatto impallidire perfino un talebano.

Personalmente ho visto un altro film rispetto alla robaccia che i diaconi del politicamente corretto hanno spacciato per fedele narrazione della realtà. A meno di sostenere che il diritto della donna a scegliere liberamente tra il praticare un’attività lavorativa a tempo pieno o preferire di allevare i propri figli sia da considerare un’eresia oscurantista. O invocare l’adozione di una fiscalità di vantaggio per la natalità sia comparabile all’estrinsecazione di un’indole fascista. È dal Sessantotto che all’interno delle società avanzate dell’Occidente si muovono forze votate ad aggredire l’istituto familiare tradizionale. La grave crisi demografica che il nostro Paese vive non è un accidente della Storia ma è il frutto di una direzione di marcia che viene da lontano. E non c’è nulla di male se vi sia qualcuno che combatta per invertirla. L’orizzonte al quale guarda la cultura progressista non desidera che la funzione di preservazione del ricambio generazionale sia lasciato alla giurisdizione esclusiva della famiglia naturale.

Nella stagione della post-modernità, deprivata dei fondamenti valoriali, condizionata dall’ossessione per l’accumulazione della ricchezza e la realizzazione del benessere materiale, i tempi di vita di una famiglia naturale non sono conciliabili con i ritmi di produzione e consumo imposti dalla società liquida. In una diversa parcellizzazione dei compiti la funzione procreativa può essere affidata alla mercificazione dell’utero in affitto o, su più larga scala, alle masse sparse tra il Terzo e il Quarto mondo che non hanno altre opzioni se non quella di essere macchine riproduttive: di merci o di prole. Si potrà ancora esprimere un dissenso contro una tale visione del mondo senza per questo essere incatenati alla gogna?

Comunque sia, d’accordo o no con le tesi emerse a Verona, bisognerebbe fare un monumento agli organizzatori italiani del Congresso delle famiglie, perché hanno offerto a tutti, favorevoli e contrari, l’opportunità di un fine settimana senza economia, conti pubblici e spread, ma vivificato dalle sfide valoriali. A dimostrazione che la politica non è fatta di soli numeri da quadrare e leggi da approvare ma anche di principi e di valori sui quali dibattere e dividersi. Qualcuno la chiamerebbe arma di distrazione di massa, qualcun altro, più avveduto: partecipazione attiva alla res publica. Che non è una brutta cosa.

Aggiornato il 02 aprile 2019 alle ore 10:36