Stelle filanti

Come le stelle filanti. Giù dall’Olimpo dei consensi verso “Ground Zero”, con qualche sperabile rimbalzino dopo la celebrazione delle elezioni europee del 26 maggio. Matteo Salvini non sarà un eroico “Capitano”, però è la decalcomania del nostromo delle Mille Leghe sotto i mari. Voleva andare al governo senza le pesanti catene stataliste degli ex An che impedirono ai primi due governi Berlusconi di fare le riforme liberali, e c’è riuscito facendo un sodalizio popolar-populista con il Movimento 5 Stelle, per ribaltare poi nei fatti il reale peso elettorale rispettivo di due soggetti politici originati da una stessa matrice, ma con anime all’incirca opposte per quanto riguarda materie strategiche come l’economia, la sicurezza e l’immigrazione. E, oggi che cosa resta dei grillini doc? C’è davvero da aspettarsi da loro ribaltoni in stile 1994 con il cambio in corsa dell’attuale maggioranza a favore di un matrimonio con Nicola Zingaretti? In caso di crisi di governo (per eccesso di litigiosità tra i due contraenti) è ragionevole supporre che molti degli attuali parlamentari pentastellati, non volendo suicidarsi, si rifiuteranno di andare alle legislative anticipate. E Sergio Mattarella asseconderà sicuramente un nuovo governo delle larghe intese in caso di (inevitabile?) crisi M5S-Lega dopo le elezioni europee.

Se questo governo fallisse, il Movimento sarebbe destinato all’opposizione permanente e a scomparire nel tempo, avendo dimostrato tutta la sua incapacità di strutturarsi nel territorio per stare quotidianamente vicino alla gente. Tuttavia, qualora dopo il 26 maggio la somma dei punteggi separati Lega-M5S dovesse risultare nettamente superiore al 50 per cento, sarà inevitabile continuare con l’attuale maggioranza. Viceversa (Lega molto più forte e Movimento ridotto al lumicino), non è da escludere un “Nazarenino” a dominante leghista, eventualmente contraffortato dalla componente scissionista di Giovanni Toti e da spezzoni di ex M5S con appoggio esterno eventuale del Partito Democratico, laddove il tutto non risulti sufficiente a formare una maggioranza di legislatura.

Luigi Di Maio è senza radici perché, da un lato, nell’era dei social network il consenso è fin troppo fluido e gli elettori giudicano unicamente sul breve periodo strategie politiche che, al contrario, necessitano di tempi medio-lunghi per riverberare gli eventuali loro effetti positivi sul piano socio-economico. Dall’altro, invece, il Movimento è un enorme aggregato incoerente e opportunista in cui è del tutto assente la caratteristica cementante della ferrea condivisione ideologico/religiosa di un insieme irrinunciabile di valori, sui quali si forma e si consolida la condotta morale della sua classe dirigente.

Rispetto ai totalitarismi (nazismo, fascismo, leninismo e maoismo) del XX secolo, l’aggregato composito costituito da mercato, amministrazione pubblica e finanza è a carattere predatorio e non ideologico, diversificando in un numero impressionante di canali i propri redditi illeciti e illegali. Marcello De Vito sta in questo conglomerato di interessi pratici e il suo pensiero, in definitiva, non differisce da quello di Massimo Carminati e Salvatore Buzzi in quanto rappresenta una caratteristica immortale e molto pervasiva della politica politicante, praticona e cinica. Lo strabiliante tasso di diffusione delle infinite attività corruttive, concussive, ecc. fa leva sulle tantissime debolezze umane, compresa la difesa strenua dei “pezzi de core” che sono figli e famigli stretti. Nel M5S c’è chi coltiva il paradosso di rompere fin da subito con la Lega per cui o si va al ribaltone con il Pd (ma qui altro che annacquamento dei temi forti e irrinunciabili del Movimento!) o si sceglie il massacro delle urne con elezioni anticipate, trascinati al disastro inevitabile dal buco nero di Roma e dall’assoluta mancanza di potere di coalizione, per provare a vincere in associazione con altri un lontanissimo premio di maggioranza dentro un sistema proporzionale puro! Triste, quando cadono le stelle!

Aggiornato il 28 marzo 2019 alle ore 10:12