All’Europarlamento anche Conte sembra un gigante

Ieri l’altro è stato il giorno di Giuseppe Conte al Parlamento europeo. Indipendentemente da come la si pensi sul Governo giallo-blu, il suo è stato un discorso di alto profilo. Purtroppo, l’uditorio non è apparso adeguato alla circostanza. Un’aula semivuota, distratta, sonnacchiosa ha male accolto il capo del Governo di un Paese pilastro dell’edificio comune europeo, ad ennesima dimostrazione della distanza siderale che separa le istituzioni centrali dalle dinamiche che muovono il sentire comune dei suoi popoli. Il premier Conte, prendendo le mosse da due domande di senso: “quale Europa vogliamo?” e “di quale Europa abbiamo bisogno?”, ha messo il dito nella piaga della crisi d’identità che scuote l’Unione europea.

I toni del discorso sono stati pacati ma le parole spese, taglienti. Conte ha parlato da leader facendosi voce e sostanza dei dubbi maturati dalla maggioranza degli italiani. Dubbi che sono alla base del senso di spaesamento e di progressivo disamoramento che, stando ad un sondaggio di Eurostat dello scorso ottobre, ha condotto il 43 per cento dei nostri connazionali a dichiararsi favorevoli ad un’uscita dall’Unione. A fronte delle molte conquiste che il processo d’integrazione ha raggiunto, Conte ha evidenziato l’incapacità della politica europea di trasformare una costruzione giuridico-economica in una comunità di destino. La critica è rivolta alle élite alle quali sarebbe venuto meno quello slancio profetico che era appartenuto ai fondatori della Comunità europea. Per il premier, la politica europea “si è ristretta nella fredda grammatica delle procedure” perdendo contatto con il suo popolo e accrescendo la distanza tra Bruxelles e le periferie del continente. E la percezione trasmessa dalle governance comunitarie è apparsa, citando il politologo polacco d’ispirazione liberale Jan Zielonka un “parametro cerimoniale a copertura di operazioni globali molto complesse, largamente incomprensibili, se non segrete”. Tuttavia, nessun antieuropeismo barricadiero. Nonostante la critica serrata all’odierna Unione, temperata solo da qualche sporadico apprezzamento ai tentativi del presidente della Commissione Jean-Claude Juncker di spingere per misure orientate alla crescita economica, Giuseppe Conte è rimasto totalmente all’interno del perimetro dell’europeismo. Cosa vi sarebbe di sbagliato in tale approccio? Francamente, ad ascoltarlo si è avuta l’impressione di udire il discorso di un perfetto esponente del centrodestra. Altro che grillismo! Tra il Conte di ieri e gli Alessandro Di Battista e i Roberto Fico in circolazione c’è un abisso di posizioni di cui si deve tenere conto quando si valutano le questioni del cortile italiano. Sul fronte geopolitico il premier ha rilanciato la sua visione che si compone di una convinta adesione al rafforzamento dell’alleanza transatlantica con gli Stati Uniti d’America e, contestualmente, della volontà di fare dell’Unione europea la protagonista di un engagement con i principali stakeholder globali, Federazione Russa e Cina in testa. Non sono mancate proposte di provvedimenti da adottare in sede comunitaria per avvicinare l’Europa ai suoi popoli, nella prospettiva di superare la disillusione in atto sulla reale positività del progetto d’integrazione. La parola che ha maggiormente fatto capolino nel discorso del premier è stata “equità”. Quindi, un contesto comunitario più equo e solidale che ponga la dignità e il benessere del cittadino davanti agli interessi economici, ancorché legittimi, dei grandi potentati finanziari. Cosa c’è di male in questo? Non sono i discorsi che si fanno anche nel centrodestra a proposito di un’Unione da costruire più giusta e meno matrigna? Eppure, a sentire le risposte degli europarlamentari intervenuti cascano le braccia. Discorsi infarciti di pregiudizi, camuffati da critiche politiche all’operato del Governo giallo-blu. Bisognerebbe scandalizzarsi per l’astio avvertito nei confronti della diversità di visione palesata da Conte.

La verità è che questo mediocre establishment è sull’orlo di una crisi di nervi a causa dell’avanzata delle forze di rottura degli odierni equilibri di potere. È concepibile che, a fronte di un discorso di indubbio spessore, le risposte siano state del tipo: Conte servo di Putin, Conte burattino di Salvini e Di Maio, Conte epigono di Berlusconi? Se questo è il livello di pensiero dei rappresentanti dei popoli europei vuol dire che l’Europa ha un problema di leadership bello grosso. Dare del pupazzo al nostro presidente del Consiglio, come ha fatto il belga Guy Verhofstadt, capogruppo dei liberali di Alde (Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa), è più che oltraggioso: è razzista.

Dal canto loro, grillini e leghisti, possono stare tranquilli, gli insulti rimediati da Conte a Strasburgo sono fieno in cascina per le prossime elezioni europee. Come lo è l’accoglienza che il trattamento ricevuto dal premier ha avuto nei commenti dei politici dell’opposizione nostrana in linea con quelli dei “soliti noti” dei media nazionali. Per tutti costoro Conte se l’è cercata, avrebbe fatto una figuraccia pronunciando un discorso decisamente fuori dal coro. Segno che è così che funziona quando si prova a mettere la testa fuori dal sacco del conformismo europeista assoggettato all’establishment. Conte come Berlusconi: stesso meritato “trattamento di riguardo”. Al Cavaliere, nel 2003, diedero del mafioso. Oggi a Conte danno del burattino. E poi ci si meraviglia che nell’ascoltare i giudizi sprezzanti sui legittimi rappresentanti degli italiani, dispensati da taluni politici stranieri che bivaccano a spese della collettività all’interno delle istituzioni europee verrebbe voglia di far alzare in volo i cacciabombardieri.

Aggiornato il 15 febbraio 2019 alle ore 10:48