Sono solo canzonette

Una breve pillola di riflessione sul contestato Festival di Sanremo, sul cui esito, secondo una consolidata tradizione, ci si sta scannando a colpi di anatemi politico-musicali.

La tesi dei perdenti, per così dire, è quella della lesa maestà popolare operata da una presunta giuria di qualità di estrazione radical chic. Mentre i vincitori, al pari degli sconfitti, invocano una superiorità artistica del brano cantato dal loro beniamino. Ma in realtà, come espresse in modo molto significativo il celebre Edoardo Bennato (grande estimatore di autori del calibro di Rossini e Vivaldi) in un disco del 1980, “Sono solo canzonette”, questo è, a mio modesto parere, il punto saliente. Esiste una differenza abissale tra la musica seria, che banalmente viene definita “classica” ma non solo, e quella “leggera”, la cui comprensione non è legata ad una questione di popolo o di élite, bensì al possesso o meno di una cultura e di una sensibilità musicale. Cultura e sensibilità che chiunque potrebbe acquisire, a prescindere dalla conoscenza o meno delle relative basi tecniche. È solo un problema di gusto che si affina essenzialmente attraverso un attento ascolto. Ed è proprio questa la differenza tra la musica cosiddetta classica e quella leggera. Mentre la prima necessita di una concentrazione assoluta per apprezzarne la profondità, la seconda si presta ad una fruizione totalmente disimpegnata, data l’elementare struttura che la compone.

Per fare un paragone di tipo letterario, tra un brano classico, ad esempio la monumentale “Sinfonia concertante” k364 di Mozart e la canzonetta che ha vinto Sanremo, “Soldi” di Mahmood, sussiste la stessa distanza artistica e culturale che intercorre tra un libro al livello dei “Promessi Sposi” e un numero di “Topolino”. Dunque, di cosa stiamo parlando?

Aggiornato il 14 febbraio 2019 alle ore 10:10