Il colpevole l’ha fatta franca, ma chi è?

martedì 5 febbraio 2019


Ci risiamo, verrebbe da dire. A meno di un mese dalle accuse di infamia raccolte da un Giudice monocratico di Avellino, la cui unica colpa era quella di aver pronunziato sentenza relativa al drammatico incidente di un pullman turistico che, perso il controllo, era precipitato nel vuoto da un viadotto autostradale, oggi tocca fare i conti con la violenta protesta delle parti civili in relazione alla sentenza resa pochi giorni fa dalla Corte di Assise di Appello di Roma nel processo Ciontoli.

Che poi, a ben vedere, ormai a scatenare la piazza non è più neppure la mancata condanna degli imputati. Ad Avellino si è lamentato che tra i condannati ne mancasse uno, l’Amministratore delegato di Autostrade – che ovviamente, secondo certo modo di pensare, doveva essere colpevole a prescindere, perché il più alto in grado, e comunque perché, signora mia, chissà quanto guadagna, mentre noi facciamo fatica ad arrivare alla fine del mese – a Roma nemmeno di assoluzioni si parla, ma solo di riduzione di pena.

La politica, ovviamente, prende la palla al balzo e corre a vomitare indignazione e rabbia; così Luigi Di Maio ad Avellino, e Alfonso Bonafede a Roma, lesti, presentano la loro solidarietà alle parti civili, e se i processi sono ancora in corso chi se ne frega: vox populi, vox Dei.

Che poi è pure comprensibile quando a urlare sono le parti civili, magari padri e madri straziati dal dolore – ai quali magari andrebbe spiegato che, tuttavia, la tragedia subìta non gli offre il diritto di farsi giudice, dal momento che dalla legge del taglione ad oggi son passati un bel po’ di secoli di civiltà giuridica. Ma che lo facciano due ministri della Repubblica un po’ di fastidio, francamente, lo dà.

Di fronte al montare della canea, per vero, verrebbe voglia di cedere al burionismo. Alzi la mano chi tra gli indignati sa spiegare la differenza tra dolo diretto, dolo eventuale e colpa cosciente. Insomma, non conoscete i fatti, ancor meno gli atti, affatto il diritto: di che vogliamo parlare?

Però i fenomeni vanno esaminati anche quando hanno motivazioni zoppicanti, senza girarsi dall’altra parte col nasino arricciato: e allora di chi è la colpa di questo clima in cui l’assoluzione è divenuta un’infamia intollerabile?

Io qualche colpevole lo scorgo. Innanzitutto, una informazione che definire embedded è volergli bene. E sì che al fatto che la gloriosa stampa nazionale sia di norma seduta comodamente sul carro delle Procure, e da ultimo delle agenzie investigative, siamo abituati. Non è che uno pretenda eroiche manifestazioni del quarto potere, ma qua siamo giunti al paradosso che, anziché abbaiare al potere giudiziario del quale dovrebbe essere cane da guardia, si azzannano solo i disgraziati che finiscono dentro gli ingranaggi giudiziari.

L’altro responsabile, bisogna essere chiari e tondi nel dirselo, è la magistratura. Ancora ho negli occhi lo sguardo basito del Presidente della Corte di Assise di Appello di Roma di fronte alla difficoltà di leggere il dispositivo di una sentenza, che nemmeno l’arbitro chiamato a fischiare un rigore al novantesimo in favore della squadra ospite sotto la curva sud.

E dietro quello sguardo ho scorto quello di tanti suoi coscienziosi colleghi che non si capacitano di questo assalto alla giurisdizione, ma a questo punto giunti vorrei chiedere a loro tutti se non paghiamo venti anni e più di inni ai caudillos della magistratura d’assalto, con la loro visione palingenetica della giustizia, e magari pure la scelta, che l’equilibrio delle correnti è sacro e va preservato ad ogni costo, di farsi rappresentare da uno che andava, e va, in televisione a dire che gli assolti sono solo colpevoli che l’hanno fatta franca.

In conclusione, se è proprio vero che il popolo vuole la forca, una bella razione di pene raddoppiate per tutto e tutti, e magari pure la libertà di tirare una pistolettata a chi gli ruba la bicicletta, forse sarebbe il caso di cominciare a dirci chiaramente chi ce l’ha accompagnato, questo popolo, amorevolmente per mano, sull’orlo di questo abisso.

Post Scriptum: io, di fronte a questa ondata di nequizie sui diritti e sulla giustizia, mi indigno. Di fronte a certi argomenti e, peggio ancora, a chi tenta di strumentalizzarli (popolo dei fax, dei girotondi o del vaffanculo poco cambia) sento un’alterità quasi antropologica. Credo sia giunto il momento di fare come da ragazzini all’oratorio: facciamo le “squadre”. Magari saremo pochi, e certamente il pubblico ci fischierà, ma che volete che sia per chi negli ultimi anni spesso si è trovato a giocare pure contro l’arbitro.


di Massimiliano Annetta